Le rime amorose
«Vere fur queste gioie e questi ardori / ond’io piansi e cantai con vario carme» (Rime, 1, 1-2): così si apre il sonetto inaugurale delle rime amorose del Tasso, a ribadire l’autenticità delle passioni cantate, negando l’aspetto di un esercizio in primo luogo letterario, che pure, a stare alle concrete vicende della biografia del poeta, sembrerebbe dominante. Costituito alla metà degli anni ’80, il corpus delle rime d’amore comprende i componimenti per Lucrezia Bendidio e Laura Peperara, una larga sezione di rime stravaganti, e oltre un centinaio di rime composte ad istanza d’altri, amici e signori, secondo consuetudine tipicamente cortigiana cui anche il Tasso si adeguò. Non mancano, d’altra parte, rime di argomento amoroso anche nelle altre sezioni del vastissimo canzoniere tassiano, e tra le rime encomiastiche si leggono epitalami nei quali la lirica del Tasso raggiunge sorprendenti livelli di audacia e sensualità (Rime, 569). Nel complesso, comunque, le amorose si collocano sotto l’insegna della tradizione petrarchesca, e della rivisitazione condotta da Bembo, con una capacità tassiana di innovare non tanto in chiave tematica quanto soprattutto negli esiti di una eccezionale musicalità, come in una larga serie di splendidi madrigali. Questo uno dei più celebri (Rime, 324):
Qual rugiada o qual pianto.
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stelle un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita
vita de la mia vita?

