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Percorso tematico > I modelli antichi > Ovidio
Ovidio
La presenza più originale di Ovidio in Ariosto è rappresentata dall’esperimento drammatico giovanile non pervenutoci, Tragedia di Tisbe, centrato sulla vicenda amorosa infelice di due giovani amanti babilonesi Priamo e Tisbe, modellata sul racconto ovidiano contenuto nelle Metamorfosi. Ma è naturalmente il Furioso a contenere con una fitta serie di rimandi ovidiani che evidenziano il rapporto assolutamente privilegiato di Ludovico con questo poeta latino. Notiamo ad esempio come l’incontro di Melissa e Ruggiero in VII, 51-69 ricorda precisi antecedenti sia virgiliani che ovidiani. L’ottava 54: ‘Di ricche gemme un splendido monile / gli discendea dal collo in mezzo al petto; / e ne l’uno ne l’altro già virile / braccio girava un lucido cerchietto. / Gli avea forato un fil d’oro sottile / ambe l’orecchie, in forma d’annelletto; / e due gran perle pendevano quindi, / qua’ mai non ebbon gli Arabi né gli Indi’ rinvia ad Ovidio, Heroides, IX 55-60: ‘Vidit in herculeo suspensa monilia collo / […] / Non puduit fortis auro cohibere lacertos, / et solidis gemmas opposuisse toris’. Di derivazione ovidiana sono tutta una serie di similitudini, come quella contenuta in Furioso XL 29: ‘Come nel mar che per tempesta freme, / assaglion l’acque il temerario legno, / ch’or da la prora, ora da le parti estreme / cercano entrar con rabbia e con isdegno; / il pallido nocchier sospira e geme, / ch’aiutar deve, e non ha cor né ingegno; / una onda vien al fin, ch’occupa il tutto, / e dove quella entrò, segue ogni flutto’ che risale a Metamorfosi, XI 529-532: ‘Sic ubi pulsarunt noviens latera ardua fluctus, / vastius insurgens decimae ruit impetus undae, / nec prius abstitit fessam oppugnare carinam, / quam vekutr in captae descedat moenia navis’. Ovidio contribuisce alla formazione dello stile ariostesco come dimostrano numerose dittologie ed aggetivazioni. Ad esempio in Furioso XLI 9, 5-6 : ‘Surgono altiere e minacciose l’onde, / mugliando sopra il mar va il gregge bianco’ rinvia a Metamorfosi, XI 501: ‘[mare] spumis […] albet’.
 
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