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La Tragedia di Tisbe
La Tragedia di Tisbe trae la sua materia dalle Metamorfosi di Ovidio ed è un esperimento giovanile di Ludovico, risalente al 1493, non pervenutoci. In base al racconto mitologico divulgato da Ovidio i due giovani babilonesi Priamo e Tisbe, che si amavano segretamente contro il volere delle rispettive famiglie, erano costretti a parlarsi da una fessura di un muro divisorio altissimo. Un giorno decidono di fuggire insieme dandosi appuntamento vicino a un gelso: Tisbe giunge per prima ma, spaventata da una leonessa, fugge via perdendo il velo. Piramo, giunto dopo poco, vedendo la leonessa lacerare il velo di Tisbe, pensa che la fanciulla sia stata sbranata e, in preda ad un acuto dolore, si ferisce a morte con la sua spada. Il suo sangue tinge i frutti del gelso che, da quel giorno, si trasformano da bianchi in rossi. Tisbe, successivamente, torna sul luogo dell’appuntamento vicino al gelso appena in tempo per vedere Priamo morirle tra le braccia. Costei, distrutta dal dolore, si uccide subito dopo. La tragedia nasce all’interno delle prime manifestazioni di interesse teatrale dell’Ariosto nella corte estense di Ercole I, negli anni in cui Ludovico è in stretta amicizia con Alberto Pio da Carpi, Ercole Strozzi, Pietro Bembo. Il manoscritto di Tisbe, conservato ancora nel XVIII secolo dagli eredi dell’Ariosto, è andato perduto. La ‘favola’ o ‘tragedia’ di Tisbe non è l’unico tentativo drammatico del giovane Ludovico, come attesta il Pigna: ma purtroppo di questi esperimenti giovanili (o puerili) non ci è giunta traccia. L’assoluta certezza della composizione di questa tragedia di viene in ogni caso dal fratello Gabriele Ariosto che scrive nell’Epicedio in morte del fratello Ludovico ai vv. 221-223: ‘Nec tantum dederas haec ludis signa futurae, / Sed puer et Tysbes deducis carmen in actus, / Parvaque devincis praecoci crura cothurno’.
 
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