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Percorso tematico > Dopo il Decameron > La vita come sogno
La vita come sogno
La finalità perseguita non è tanto trasporre fedelmente l’opera di Boccaccio, quanto piuttosto interpretare in chiave contemporanea la raccolta novellistica trecentesca. Ciappelletto perde così quell’aurea malefica che lo caratterizza nel Decameron e incarna nel lungometraggio la figura di un oppresso, manipolato dalla borghesia, sul quale si proietta l’ombra dell’Accattone dell’omonima pellicola pasoliniana, interpretato, come Ciappelletto, dall’attore Sergio Citti. All’allievo di Giotto, impersonato dal regista stesso, spetta il difficile compito di affrontare la complessa tematica della rappresentazione della vita, attraverso il sogno e per il tramite dell’arte.
Nell’epilogo del film, per celebrare la conclusione dell’affresco che stava realizzando, il pittore pronuncia, rivolto ai suoi lavoranti, una battuta emblematica e demistificatoria: “Perché realizzare un’opera, quando è così bello sognarla soltanto?”. Il quesito mette in crisi, ad un tempo, tanto la finalità delle arti figurative quanto il valore di quelle cinematografiche. All’interno di questa polemica un ruolo di importanza primaria riveste il sogno dell’allievo di Giotto, che occupa l’intermezzo del film. La simbologia chiamata in causa è quella del giudizio universale, illustrato per “quadri” ispirati all’iconografia pittorica trecentesca. Tra l’immagine del paradiso e quella dell’inferno, il trionfo è riservato alla madonna con il bambino, che ha nella pellicola il volto di Silvana Mangano. La divinità femminile espropria il podio all’immagine di Dio, tradizionalmente innalzata al centro del tripudio, secondo il modello giottesco della Cappella degli Scrovegni di Padova. Questo capovolgimento di ruoli contribuisce a esaltare il mito della maternità e della fecondità, celebrato, a livello mondano, nelle scene di sesso della pellicola, giudicate scabrose da una parte della censura.

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