|
 |
Home Page >
Percorso testuale > Le opere in volgare > Le Rime dubbie
Le Rime dubbie
L’assenza di un rigido ordinamento delle Rime e soprattutto la notorietà di Dante ha favorito e incoraggiato nella tradizione manoscritta l’attribuzione a lui di molta rimeria trecentesca, soprattutto di argomento morale e didascalico. Tra i casi più noti, a lungo presenti nelle edizioni dantesche, andranno segnalati la parafrasi in terzine dei Salmi penitenziali o il capitolo ternario Io scrissi già d’amor più volte, noto come Credo di Dante, da ricondursi invece ad Antonio da Ferrara. Accanto a questi testi sicuramente apocrifi, però, sin dall’edizione Barbi del 1921 si individua una appendice di 26 “rime di dubbia attribuzione”, per alcune delle quali la presunzione di paternità dantesca è molto forte e sostenuta da argomenti tutt’altro che spregevoli, al punto che anche Contini nell’edizione commentata del 1939 inserì questi pezzi, ordinandoli e graduandoli però secondo il livello di plausibilità dell’attribuzione a Dante, relegando così in coda quelli di più incontestabile apocrifia. Sensibili variazioni a questo quadro sono state introdotte nella recente edizione critica (Firenze 2002) curata da Domenico De Robertis. Il filologo sulla base di stringenti considerazioni stemmatiche e di pertinenti rilievi stilistici non solo ha escluso da novero delle dubbie due sonetti, ma, quel che più conta, ha recuperato dall’appendice al canone delle rime sicure di Dante sette sonetti, tra cui, sorprendentemente, il rinterzato Quando ’l consiglio degli ucce’ si tenne, da Contini posto come ultimo della serie delle dubbie, e soprattutto la canzone trilingue Aï faus ris, por quoi traï aves, in cui si alternano latino, italiano e lingua d’oïl: un’annessione quest’ultima particolarmente significativa, che apre nuove prospettive sui rapporti, ancora poco indagati, di Dante con la tradizione oitanica e che non può non avere conseguenze sulla plausibilità dell’attribuzione del Fiore.
 
|
|
 |
 |
 |
    |