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Il Carmagnola: Prefazione
La prima tragedia manzoniana, Il Conte di Carmagnola, è preceduta da una Prefazione nella quale l’autore espone i principi della sua nuova drammaturgia, ispirati al “Corso di letteratura drammatica” del romantico tedesco August Wilhelm Schlegel. Egli contesta (come poi farà più ampiamente nella Lettre allo Chauvet) la validità delle regole attribuite (con fraintendimento) ad Aristotele, secondo le quali l’unità d’azione di un dramma si fonderebbe sul rispetto dell’unità di tempo e di luogo di quell’azione. Queste regole -osservate nel teatro classicistico italiano, ma ignorate nei drammi inglesi, spagnoli e tedeschi- sono arbitrarie e irragionevoli: esse si basano sul falso presupposto che la vicenda di un dramma risulterebbe inverosimile allo spettatore, se si svolgesse in luoghi diversi e in un tempo maggiore rispetto al luogo e al tempo “reali” della sua rappresentazione, quasi che lo spettatore fosse egli stesso parte dell’azione drammatica, mentre egli è una mente estrinseca che la contempla, e ne coglie l’unità logica e sentimentale indipendentemente dal mutare dei luoghi e dei tempi: “La verosimiglianza non deve nascere in lui dalle relazioni dell’azione col suo modo attuale di essere, ma da quelle che le varie parti dell’azione hanno tra di loro”. L’altra novità dichiarata nella prefazione è l’introduzione dei Cori, che in parte richiamano la funzione svolta nell’antico teatro greco. Innestando quella funzione nel sistema drammaturgico moderno, Manzoni assegna al coro il ruolo di un “cantuccio” riservato al poeta, “dov’egli possa parlare in persona propria”. Scritti in forme metriche rimate proprie della lirica (senari, settenari, ottonari e decasillabi), essi interrompono l’azione e costituiscono una voce “fuori campo” che invita il lettore o lo spettatore alla riflessione morale sulle vicende storiche e sui sentimenti dei personaggi, celebrando in solenne sintesi poetica i motivi ideali del dramma.
 
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