
Roberto d'Angiò aveva ereditato nel 1309 il trono di
Napoli dal padre Carlo II e subito, contrastando la venuta dell'imperatore Enrico VII, era diventato il
leader del guelfismo italiano; colto e mecenate, aveva ospitato a corte
Giovanni Boccaccio nei primi passi della sua carriera letteraria.
Petrarca lo conobbe all'inizio del 1341, quando dimorò circa un mese a Napoli per essere esaminato prima dell'
incoronazione poetica; probabilmente l'incontro era stato organizzato da
Dionigi da Borgo Sansepolcro. I ricordi delle conversazioni avute con il re prima dell'esame vero e proprio disegnano il prototipo del perfetto sovrano, saggio e virtuoso oltre che esperto politico, e tale è la raffigurazione di lui che ritorna costantemente nelle opere petrarchesche (per esempio nei
Rerum memorandarum libri e nel
Trionfo della Fama); dietro sua richiesta, inoltre, Petrarca gli dedicò l'
Africa. Fece però in tempo a indirizzargli solo tre lettere, dato che Roberto morì poco dopo, all'inizio del 1343; in seguito alla sua scomparsa il regno precipitò in una profonda crisi, come Petrarca poté constatare quello stesso anno nel suo secondo e ultimo soggiorno napoletano e come raccontò allegoricamente nell'egloga II del
Bucolicum carmen. In memoria del defunto compose anche un epitaffio laudativo (
Epystole II 8).