DE VITA SOLITARIA

Il De vita solitaria è un trattato in due libri in lode della solitudine. Il libro I mette a confronto la giornata tipo dell'uomo occupato e di quello solitario, precisando che l'esistenza del secondo non trascorre nell'inoperosità ma si divide tra le buone letture, le attività devozionali e la conversazione con gli amici. Il libro II è una raccolta di esempi di personaggi illustri che nella vita o negli scritti o almeno nelle aspirazioni mostrarono di compiacersi della solitudine.
Sebbene la genesi lontana del De vita solitaria vada individuata nel desiderio di fornire un'apologia della propria scelta di vivere a Valchiusa, per testimonianza dello stesso Petrarca sappiamo che esso fu steso in una prima versione nel 1346 e dedicato a Philippe de Cabassoles. La sua storia redazionale si protrasse però per oltre due decenni e coinvolse varie persone: fra gli altri Giovanni Boccaccio, che nel 1361, trovandosi a Ravenna, venne incaricato di fornire notizie su san Pier Damiani, e Moggio Moggi, che nel 1362 trascrisse in bella copia un esemplare dell'opera. Nel frattempo si era diffusa notizia della sua esistenza, quale per esempio mostrò di avere l'imperatore Carlo IV nel suo incontro del 1354 con Petrarca; ma solo nel 1366 Philippe de Cabassoles ricevette la copia di dedica. Ancora successiva, tuttavia, è l'inserzione di un capitolo dedicato a san Romualdo.
Il De vita solitaria rappresenta una svolta netta rispetto alle opere messe in cantiere da Petrarca fino alla metà degli anni Quaranta: alla produzione di rigorosa impronta classicista (Africa, De viris illustribus, in parte Rerum memorandarum libri) subentra un trattato morale che esibisce una vasta cultura biblica e patristica e che costituisce un vero e proprio manifesto della concezione petrarchesca della vita. Esso generalizza l'esperienza valchiusana dell'autore e propone una figura ideale del saggio, lontano dalle beghe cittadine e intento a coltivare la propria crescita interiore.

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