VALCHIUSA

Valchiusa è una località situata a est di Avignone; Petrarca racconta di averla visitata per la prima volta da bambino, durante una gita compiuta insieme a Guido Sette, e di aver concepito fin da allora il desiderio di abitarvi (Seniles X 2). È lecito pensare che abbia voluto accentuare a posteriori un'impressione che dovette comunque essere forte; il fatto è che nel 1337, poco dopo il ritorno da Roma, riuscì effettivamente a realizzare il progetto: acquistò una casa e vi si trasferì con tutta la sua biblioteca.
A lungo Valchiusa fu per Petrarca il locus amoenus per eccellenza: il primo di una serie di rifugi campestri dove sempre cercò di abitare a preferenza delle vicine città (Selvapiana presso Parma, Arquà presso Padova) e forse, proprio in quanto primo, il più amato fra tutti. Essa significò soprattutto una scelta di libertà: libertà dal servizio ai Colonna e dagli impegni di curia, e di conseguenza possibilità di esercitare l'otium intellettuale. Più volte Petrarca riconobbe a Valchiusa il merito di aver stimolato le sue facoltà creative: "quasi tutte le opere che mi è accaduto di comporre vennero condotte a termine o iniziate o ideate lì" (1) (Posteritati); "se si confrontasse ciò che ho scritto altrove con ciò che ho scritto lì, a mio giudizio quel luogo supererebbe fino ad oggi tutti gli altri" (2) (Familiares VIII 3). Inoltre essa svolse il ruolo di alternativa laica e individuale ad Avignone, diversa da quella religiosa e universale rappresentata da Roma.
La vita condotta da Petrarca a Valchiusa nei suoi soggiorni provenzali (1337-41, 1342-43, 1345-47, 1351-53), durante i quali vi dimorò in prevalenza rispetto ad Avignone, ci viene descritta infinite volte: una vita fatta di tranquilli riposi, esercizio fisico, conversazione con scelti amici (fra i quali spicca Philippe de Cabassoles, vescovo della diocesi comprendente il territorio valchiusano), studi severi ma gradevoli; una vita quieta e appartata, priva delle ambizioni mondane che rodono la maggior parte degli uomini, così come la raffigura efficacemente una lettera del 1338 a Giacomo Colonna (Epystole I 6). Tra gli omaggi petrarcheschi a Valchiusa vanno poi ricordati almeno un disegno stilizzato con la didascalia "Il mio dolcissimo eremo transalpino" (3), vergato in margine a un manoscritto della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, e un epigramma composto per Philippe de Cabassoles nell'imminenza del ritorno in Provenza del 1351:
    Nessun luogo sulla terra mi è più gradito di Valchiusa o più adatto ai miei studi.
    A Valchiusa fui da bambino e, tornatovi da giovane, essa mi accolse amena nel suo caldo grembo.
    Da uomo ho trascorso dolcemente a Valchiusa gli anni migliori e i candidi fili della mia vita.
    Da vecchio desidero passare a Valchiusa gli ultimi giorni e sotto la tua guida a Valchiusa voglio morire. (4) (Familiares XI 4)
Valchiusa perse la sua funzione dopo la peste del 1348: la falcidia di tanti amici e il progressivo allentamento dei rapporti con l'ambiente di curia estraniò Petrarca anche dalla sua dimora campestre; ma solo nel 1355, una volta ben stabilito a Milano, e anche in conseguenza del tentato assalto di una banda di ladri alla sua casa, si fece mandare i libri lasciati oltralpe. La casa venne ricordata ancora nel testamento, dove Petrarca dispose che diventasse un ospizio per i poveri oppure, in caso di impossibilità, che andasse agli eredi del defunto custode Raymond Monet.

(1) "quicquid fere opusculorum michi excidit, ibi vel actum vel ceptum vel conceptum est".
(2) "si quecunque alibi cum his que ibi scripsi conferantur, loca omnia locus ille, me iudice, hactenus superet".
(3) "Transalpina solitudo mea iocundissima".
(4) "Vallis locus Clausa toto michi nullus in orbe / gratior aut studiis aptior ora meis. / Valle puer Clausa fueram iuvenemque reversum / fovit in aprico vallis amena sinu. / Valle vir in Clausa meliores dulciter annos / exegi et vite candida fila mee. / Valle senex Clausa supremum ducere tempus / et Clausa cupio, te duce, Valle mori".

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