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Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > Il romanzo di cavalleria > I Cinque Canti

I Cinque Canti

Con la dicitura Cinque canti si suole designare un lotto di 5 canti del Furioso, composto da 548 ottave non inserite nel poema, di cui ha conservato copia il figlio prediletto del poeta Virginio. Pubblicati per la prima volta nel 1545, a Venezia, dagli eredi di Aldo Manuzio in calce ad un’edizione del Furioso, vengono poi ristampati nel 1546 in un’edizione singola da Bernardo Giunti. In questi canti vengono narrati una serie di inganni orditi da Alcina, con il supporto di Gano di Maganza, come vendetta ai danni di Carlo e dei suoi cavalieri. Gli studiosi si sono interrogati sulla datazione e sui destinatari di questi testi. Il Segre li riconduce ad una fase tarda, tra il 1521 e il 1528, come ulteriore gionta rispetto a quelle inserite nella seconda redazione del 1521. Il Dionisotti propone invece un’ipotesi di datazione ascrivibile ad una fase antecedente, tra il 1518 e1519. Più che a nuovi episodi da inserire nel corpus narrativo del romanzo, questo lotto di canti potrebbe far pensare al progetto di un nuovo poema concepito come prosecuzione delle vicende di Ruggiero dopo il matrimonio con Bradamante. I Cinque canti sono costruiti in modo macchinoso e sembrano segnare un ritorno al Boiardo, se non addirittura ai cantari, verso un tipo di narrazione meno strutturata e meno intrecciata rispetto a quella del Furioso. I canti sono avvolti da un pessimismo cupo e raggelante che emerge dai luoghi desertici e spaventosi, dai paesaggi orribili e desolati e dal contesto disumano, popolato da apparizioni mostruose e da situazioni drammatiche. Nei Cinque canti prevalgono la discordia, la gelosia, la perfidia, l’empietà: l’orizzonte dei valori di riferimento sembra opposto a quello del Furioso, come se si trattasse di una palinodia o di una ritrattazione. Un ruolo centrale viene svolto dall’invidia, che appare in sogno a Gano dando corpo alla vendetta contro Rinaldo, Bradamente e Ricciardetto, e dal sospetto, peste dei tiranni, tarlo della loro mente perennemente inquieta e diffidente.

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