Elegia di Madonna Fiammetta
Un nuovo lessico dell’affettività
L’amore infelice e inappagato, di ascendenza cortese e stilnovistica, genera, in quello che è stato definito il primo romanzo psicologico della letteratura italiana, una frustrazione che provoca stasi, incapacità di agire. In questa impasse della protagonista si può riconosce un’inadeguatezza del modello erotico d’Oltralpe, ormai anacronistico nella nuova società mercantile, tutta incentrata sull’esaltazione dell’intraprendenza personale e sull’affermazione dell’individuo. All’impossibilità di appagare nel concreto il proprio desiderio amoroso Fiammetta risponde sublimando l’esperienza erotica in narrazione esemplare. Nasce così la verbalizzazione della passione, il lungo monologo al quale l’eroina boccacciana affida il ricordo della propria vicenda privata perché possa servire da esempio ai lettori, affinché non cadano nella stessa, dolorosa pania d’amore. Negando la regola del segreto, alla quale, in accordo alla logica cortese, ogni perfetto amante doveva sottostare, la nobildonna napoletana, attraverso il medium del libro, riesce a rompere l’isolamento cui Eros l’aveva costretta e cerca nella comunicazione scritta una panacea per il mal di cuore[1]. Quest’ultima si risolve non tanto nello “sfogo” della propria infelicità attraverso la narrazione ma piuttosto nella ricerca della compartecipazione del pubblico alle proprie sventure, nel tentativo cioè di suscitare la “compassione” delle lettrici, cui l’opera è intenzionalmente dedicata. Si profila così una nuova fenomenologia amorosa, che si riverbera nella creazione di un lessico dell’affettività costruito attorno ai “termini chiave” della “comprensione” e della “compassione”.
[1]E.L. Giusti, Dall’amore cortese alla comprensione. Il viaggio ideologico di Giovanni Boccaccio dalla Caccia di Diana al Decameron, Milano 1999.

