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Decameron

Una poesia mondana

L’innovatività dell’assortimento prosimetrico decameroniano unita all’eccentricità delle scelte metriche di Boccaccio possono forse rappresentare una scusante per la mancata attenzione della critica nei confronti della ballate del Decameron.

Oltre agli studi del primo quinquennio del Novecento, firmati da Manicardi e Massera, Crescini e Hauvette, fino all’edizione Carducci del 1912, priva, tra l’altro di commento, la bibliografia non registra contributi monografici[1]. Solo Rinaldina Russel vorrà dedicare nel 1982 una riflessione narratologica agli “schemi di vita e alla vita di schemi” delle ballate decameroniane, iniziando a sondare un terreno che rimarrà tuttavia poco battuto. A non molto varrà il giudizio, tutto in positivo, che Vittore Branca formula nel Boccaccio medievale, laddove sottolinea la suprema eleganza manieristica dei metri inseriti nella cornice.[2]

Coinvolte d’ufficio nella valutazione delle rime boccacciane, e pertanto ad esse accomunate per prosasticità del dettato, asperità sintattica e arditi enjambements, quasi l’autore non riuscisse a liberarsi dall’habitus a lui più congeniale del narratore e a fare propria la concisa icasticità del poeta lirico, le ballate decameroniane hanno difficilmente beneficiato di un interesse che esulasse dalla valutazione del dato metrico e stilistico (per il quale si ricorda il fondamentale contributo di Gianluca D’Agostino)[3].

Una recente analisi intertestuale di Raffaella Zanni[4] si è concentrata sulla risemantizzazione e il riuso innovativo di antecedenti della tradizione lirica, sottolineando il debito dei metri decameroniani nei confronti di Dante, Cavalcanti, Cino da Pistoia e Petrarca. Secondo la studiosa, lungi dal caratterizzarsi per una ripetizione stanca della casistica amorosa, già affrontata nelle giovanili rime napoletane, le ballate decameroniane proietterebbero il repertorio erotico della tradizione stilnovistica all’interno di una dimensione laica e terrena, senza escludere effetti parodici e aperture verso tonalità comico-realistiche.

[1]Cantilene e ballate, strambotti e madrigali nei seioli XIII e XIV, a c. di G. Carducci, Sesto San Giovanni 1912; V. Crescini, Di due recenti saggi sulle liriche del Boccaccio, “Atti e Memorie della R. Accademia di Scienze, lettere ed Arti”, n.s., XVII (1901-2), pp. 59-85; H. Hauvette, Les ballades du Décaméron, “Journal des savants”, n.s., IX (1905), pp. 489-500; L. Manicardi-A.F. Massera, Le dieci ballate del Decameron, “Miscellanea storica della Valdelsa”, IX (1901), pp. 102-114.

[2] V. Branca, Tradizione, rinnovamento e manierismo nel linguaggio delle rime, in Id., Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze 1998 (2 ed.); R. Russel, Schemi di vita e vita di schemi nelle ballate del Decameron, in Generi poetici medioevali: modelli e funzioni letterarie, Napoli 1982, pp. 85-103.

[3] G. D’Agostino, Le ballate del Decameron: note integrative di analisi metrica e stilistica, “Studi sul Boccaccio”, XXIV (1006), pp. 123-180.

[4] R. Zanni, La “poesia” del Decameron: le ballate e l’intertesto lirico, “Linguistica e letteratura”, XXX (2005), fasc. 1-2, pp. 59-142.

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