Corbaccio
Boccaccio autore/attore
Nel libretto polemico dal titolo Corbaccio Boccaccio è protagonista in prima persona della vicenda narrata. L’autore immagina di avere una visione onirica, nella quale si perde in una valle dall’aspetto sinistro e ostile:
Questo luogo è da varii variamente chiamato; e ciascuno il chiama bene: alcuni il chiamano 'il laberinto d'Amore', altri 'la valle incantata', e assai 'il porcile di Venere', e molti 'la valle de' sospiri e della miseria'. (Corbaccio: 57[1])
In suo soccorso si muove uno spirito, che si rivela essere il marito della donna amata senza successo da Boccaccio, una vedova causa della prostrazione e della sofferenza dell’autore. L’incontro si risolve in un’esperienza salvifica, grazie alla dura recriminatoria contro amore e contro le donne, posta in bocca all’anima che si è manifestata. Ragioni anagrafiche (l’età matura del protagonista) e di prestigio sociale (la sua professione di letterato) sono motivo di dissuasione dalla passione erotica, tanto più se indirizzata verso una donna che si dimostra oggetto inadeguato per un tale sentimento. Come accerta la testimonianza del marito, basata su esperienza diretta e dunque particolarmente attendibile, la vedova nasconde orribili fattezze sotto un’apparenza affascinante e cela un’indole rapace, volgare, viziosa e ipocrita. Boccaccio, ravveduto dal sogno premonitore della propria rovina, riesce a districarsi dalle panie della selva e ad avanzare verso un’altura montuosa, sicuro approdo per la sua anima adesso purificata dall’amore:
Mossesi adunque lo spirito; e, per lo luminoso sentiero andando, verso le montagne altissime dirizò i passi suoi. Su per una delle quali che parea che il cielo toccasse, messosi, me non senza grandissima fatica, sempre cose piacevoli ragionando, si trasse dietro; sopra le sommità delle quali poi che pervenuti fumo, quivi il cielo aperto e luminoso vedere mi parve e sentire l'aere dolce e soave e lieto e vedere le piante verdi e' fiori per le campagne; le quali cose tutto il petto, della passata noia afflitto, riconfortaro e ritornarono nella prima allegreza. (Corbaccio: 405[2])
[1]Corbaccio, a c. di G. Padoan, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a c. di V. Branca, vol. 5.2, Milano 1994, p. 450.
[2]Corbaccio, a c. di G. Padoan, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio. a c. di V. Branca, vol. 5.2, Milano 1994, p. 515.

