Esposizioni sopra la Commedia

Il 23 ottobre 1373 Boccaccio inaugura la lettura pubblica della Commedia dantesca, presso la chiesa di Santo Stefano a Badia. L’incarico, assunto per volontà del Comune fiorentino, non potrà essere perseguito fino alla sua conclusione. L’aggravarsi delle condizioni di salute constringe l’autore a interrompere il commento al verso diciassettesimo del canto XVII. Non è escluso però che la concomitanza anche di altre ragioni possa aver fatto propendere Boccaccio per questa sospensione della lettura. I sonetti CXXII-CXXV delle Rime alludono a polemiche nate intorno all’esposizione boccacciana, accusata di indulgere alla divulgazione, svilendo così il dettato del poema sacro. Probabilmente amareggiato da queste controversie, Boccaccio preferisce ritirarsi nell’otium certaldese, isolamento dal quale nasce il suo commento dantesco. È qui infatti che Boccaccio si è preparato per la pubblica lettura, glossando meticolosamente la Commedia e raccogliendo una congerie di appunti, senza impianto organico, che ci tramandano le sue considerazioni a margine del verbo dantesco.

L’inclinazione erudita porta l’esegeta a rivalutare l’approfondimento retorico e a soffermarsi sulla spiegazione minuziosa di fatti storici e mitologici. L’impianto di fondo, scelto quale assetto guida per l’esegesi, si conforma però alla dicotomia tra esposizione letterale e esposizione allegorica. Seguendo questo doppio binario è possibile trascendere dalla significazione della narrazione del viaggio ultraterreno per approdare alle verità riposte nella scrittura. Dante si conferma poeta-vate, depositario di un messaggio escatologico, e, al contempo, si ripropone come grande dotto, artefice sublime del volgare e depositario di una sapienza letteraria che rimanda agli antecedenti classici delle letterature greca e latina.