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Le Epistole

Scarsi frammenti di un’esistenza

L’attività epistolare di Boccaccio ci è testimoniata da un numero esiguo di venticinque lettere, composte tra il 1339 e il 1374[1]. La mancata volontà da parte dell’autore di allestire un epistolario organico può essere invocata tra le ragioni del naufragio della documentazione, che i numerosi riferimenti a lettere non rinvenute lasciano immaginare ben più ricca e consistente. I primi quattro dictamina del 1339, trasmessi dallo Zibaldone Laurenziano XXIX 8, si configurano come esercitazioni retoriche. Della corrispondenza indirizzata a Petrarca sono sopravvissute le lettere VII, X, XI e XV. Da queste missive si evince uno scambio interpersonale che va molto aldilà della comunicazione letteraria e investe la sfera personale. Lo testimonia un famoso passo dell’Ep. XV del 1367, nel quale Boccaccio presenta un commosso ritratto della nipotina di Petrarca, Eletta, sulla quale proietta l’immagine della propria figlia Violante, scomparsa nel 1355 a soli cinque anni.

Il compianto per la morte del Petrarca affiora nella lettera diretta nel 1374 a Francesco da Brossano. Boccaccio confessa la propria smodata ammirazione (“nemo mortalium me magis illi fuit obnoxius”. Ep. XXIV: 1) suffragando il ritratto encomiastico del poeta aretino, già emerso nella Mavortis milex e nel De Vita. Le condizioni di salute peggiorano notevolmente nell’ultimo quinquennio della vita dell’autore. A questo lasso di tempo si ascrive la corrispondenza con gli umanisti napoletani (Ep. XVIII, a Niccolò Orsini e XIX, a Iacopo Pizzinga del 1371; Ep. XX a Pietro di Monteforte del 1372). Dall’Ep. XXI, inviata all’amico Mainardo Cavalcanti nel 1373, emerge un quadro di forte depressione fisica e psichica, che porta Boccaccio a desiderare della fine (“mortem cupio”).

[1]Epistole e lettere, a c. di G. Auzzas, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a c. di V. Branca, vol. 5.1, Milano 1992, p. 724.

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