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Percorso tematico   Home Page > Percorso tematico > Intorno al Decameron > IX. Verso il traguardo

Le dieci giornate

Decameron

IX. Verso il traguardo

Come le novelle della prima giornata del Decameron così anche quelle della nona si alternano senza rispettare costrizioni tematiche. Se l’abbrivio del novellare sotto il reggimento di Pampinea si vuole libero dall’imposizione dell’argomento da trattare, questo avviene probabilmente perché l’espediente consente a Boccaccio di tratteggiare il profilo psicologico dei giovani della brigata, saggiando le loro preferenze a livello dei contenuti del racconto. Con la regina Emilia nella nona giornata si assiste invece a una concessione che ha il sapore del dono, offerto per ricambiare l’impegno rispettato nelle giornate precedenti di uniformarsi all’unità tematica della decade. L’autorizzazione alla libertà d’argomento, elargita da Emilia, assume anche la connotazione di un premio, che segna il raggiungimento di un importante traguardo. Quest’ultimo appare significato dall’iconografia dei novellatori, che si presentano adesso tutti con le tempie cinte di ghirlande di quercia:

Essi eran tutti di frondi di quercia inghirlandati, con le man piene o d’erbe odorifere o di fiori; e chi scontrati gli avesse, niuna altra cosa avrebbe potuto dire se non: «O costor non saranno dalla morte vinti o ella gli ucciderà lieti». (IX, Introduzione, 4[1])

La simbologia della quercia si lega tradizionalmente ai valori della forza e della saggezza, qualità conquistate dai giovani della brigata, “sacerdoti della liturgia mondana e edonistica del novellare”[2]. Con l’animo fortificato e ritemprato dall’esperienza del racconto, celebratasi nelle nove giornate precedenti, i novellatori si approssimano adesso a concludere il loro soggiorno in contado e a rientrare a Firenze, spostamento che sancisce definitivamente la chiusura di un ciclo esistenziale oltre che certificare la fine dell’opera letteraria.

[1]Giovanni Boccaccio, Decameron, a c. di V. Branca, Torino 1999, vol. II, p. 1032.

[2]L. Surdich, Boccaccio, Bari 2001, p. 182.

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