Traduzioni e riscritture
Nel proemio del Trecentonovelle Franco Sacchetti afferma che il Decameron “ è tanto divulgato e richiesto che fino in Francia e in Inghilterra l’hanno ridotto alla loro lingua”[1]. Termine di riferimento indiscusso per i Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer (1343-1400), il Centonovelle boccacciano esercita un influsso fondante sulla novellistica occidentale, presentandosi come modello non solo per la letteratura medievale inglese ma anche per quella d’Oltralpe, come testimonia la traduzione dell’opera firmata già agli inizi del XV secolo in Francia da Laurent de Premierfait.
Echi decameroniani sono presenti nelle novelle di Miguel de Cervantes Saavedra, Novelas ejemplares, che si lasciano ispirare soprattutto dalle prime giornate dell’opera (I, 10; II, 6, 9 e 10). Anche voci femminili della letteratura, come Christin de Pizan (1364-1430) e Marguerite de Navarre (1492-1549), sono suggestionate dall’esperienza boccacciana.
La fortuna del Decameron e di Boccaccio rappresenta un capitolo di straordinaria ricchezza e importanza. Precocemente apprezzato dai contemporanei, come testimoniano i numerosi manoscritti latori delle sue opere, Boccaccio è uno dei protagonisti ideali del Rinascimento europeo, per il tributo che gli rivolgono i letterati del XV e XVI secolo. Nell’ambito della tradizione italiana il Decameron si impone come modello di lingua prosastica, grazie alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, pubblicate nel 1525. Tra gli autori della letteratura italiana più ricettivi nei confronti del verbo boccacciano si devono annoverare Poliziano e Ariosto.
[1]Franco Sacchetti, Il trecentonovelle, a c. di E. Faccioli, Torino, 1970.

