Gli esercizi lirici in volgare
Castiglione non è autore di una vera e propria raccolta organica di testi poetici in volgare, strutturati coerentemente in un canzoniere; egli, piuttosto, si dedica alla scrittura lirica in una maniera episodica e sperimentale, senza che, tuttavia, ciò gli impedisca di conseguire risultati di qualche rilievo, per originalità ed efficacia. Quantitativamente i testi che gli sono stati fino ad oggi attribuiti, con un alto margine di attendibilità, non sono moltissimi: ventuno sonetti, tre canzoni e una stanza di canzone o madrigale. Per lo più si tratta di poesie risalenti agli anni della giovinezza e della prima maturità, trascorsi alla corte di Urbino. Il modello petrarchesco viene assunto come guida, secondo il gusto nuovo che comincia ad affermarsi al principio del XVI secolo. Così le generose sperimentazioni tipiche della lirica quattrocentesca vengono abbandonate, a vantaggio di una maggiore sobrietà espressiva.
Tema dominante delle poesie volgari di Castiglione, secondo le mode dell’epoca, è la riflessione intorno alla fenomenologia amorosa. Musa ispiratrice, in maniera più o meno esplicita, è spesso la figura della duchessa di Urbino, Elisabetta Gonzaga, a cui Baldassarre per tutta la vita rimane legato da una intensa relazione di stima, affetto e reciproca corresponsione. Nella prima canzone, Amor, poiché ’l pensier per cui sovente, composta forse tra il 1506 e il 1507, si riflette sulla ambivalenza della passione, struggente e straniante ma, al tempo stesso, desiderata e cercata anche a rischio della perdita di sé. Da Petrarca viene ricavato lo stimolo a meditare sulle forme drammatiche sottese a ogni vicenda amorosa. La seconda canzone, Sdegnasi il tristo cor talor, s’avviene, è costruita perciò sull’alternanza di riso e pianto, il primo menzognero e l’altro rivelatore circa i tormenti dell’innamorato.
Di questi motivi è conseguenza il tono amaramente meditativo e ravveduto della terza canzone, Manca il fior giovenil de’ miei prim’anni, in cui, fin dai primi versi, viene impostata una grave meditazione moraleggiante: “Questo viver caduco a noi sì caro / è un’ombra, un sogno breve, un fumo, un vento, / un tempestoso mare, un carcer cieco”, sicché, per non smarrirsi nelle “tenebre oscure” della passione conviene affidarsi al “lume chiaro” della ragione (B. Castiglione, Il libro del Cortegiano con una scelta delle opere minori, a cura di B. Maier, Torino 1981, 588).
