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La Monarchia: tradizione del testo e soluzioni editoriali
La Monarchia conobbe sin dagli anni ’20 del XIV secolo una notevole fortuna negli ambienti intellettuali filoimperiali, che più volte citarono il trattato dantesco, lo copiarono e lo chiosarono. Al contrario esso fu largamente osteggiato negli ambienti filoteocratici, al punto che un raffinato teologo domenicano come Guido Vernani scrisse, fra il 1327 e il ’34, un De reprobatione Monarchie, e che il cardinale Bertando del Poggetto, figlio o nipote di papa Giovanni XXII, fece bruciare pubblicamente a Bologna nel 1329 il testo dantesco, che è stato poi inserito nell’Indice dei libri proibiti fino al 1881. Queste vicende influirono sensibilmente sulla tradizione manoscritta dell’opera: se molte copie andarono distrutte, l’interesse suscitato favorì però la produzione di copie anepigrafe o mimetizzate, come il codice Berlinese Lat. fol. 437, che, sotto il titolo di Rectorica Dantis, contiene insieme con il De vulgari eloquentia anche la Monarchia, il cui explicit suona: “Explicit endivinalo se ’l voy sapere”. Se solo un paio di testimoni sono databili al XIV secolo, numerosi sono invece i codici quattrocenteschi spesso però derivanti direttamente da ascendenti trecenteschi, tutti riconducibili a un archetipo prodotto dopo la morte di Dante; alla seconda metà del XV secolo andranno anche ricondotti due volgarizzamenti, di cui uno attribuito a Ficino. La princeps della Monarchia fu pubblicata nel 1559 nella luterana Basilea, mentre per la prima edizione italiana bisognerà addirittura attendere il 1758.
Attuale edizione di riferimento è quella curata da Pier Giorgio Ricci nel 1965 per l’Edizione Nazionale delle Opere di Dante, cui però sono state subito mosse numerose obiezioni. Recentissima è la nuova proposta editoriale di Prue Shaw, che avvalendosi degli strumenti dell’informatica umanistica e avendo collazionato un paio di nuovi manoscritti, modifica in più luoghi il testo fissato da Ricci.
 
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