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Le Egloghe: struttura e contenuti
Tra il 1319 e il 1320 si collocano due Egloghe in esametri latini, con cui Dante risponde a due analoghi componimenti di Giovanni del Virgilio. Il carteggio prende avvio da un epistola metrica di Giovanni che esorta Dante ad abbandonare il volgare e a rivolgersi al latino per comporre un poema, in grado di assicurargli la fama e l’alloro poetico nello Studio di Bologna. Dante, nelle vesti di novello Titiro, replica a Giovanni-Mopso con un egloga dialogata sul modello della prima bucolica virgiliana, respingendo con cortesia l’invito a Bologna e rivendicando la possibilità di ricevere l’incoronazione poetica sulle rive dell’Arno appena terminato il suo Paradiso. Giovanni del Virgilio, riconosciuto a Dante il merito di aver rinnovato, come un Virgilio redivivo, l’antica poesia pastorale, insiste nell’invitarlo a Bologna, dove numerosi discepoli lo attendono ansioso, e aggiunge che, di fronte a un ulteriore rifiuto, sarà costretto a rivolgersi per soddisfare la propria sete al padovano Albertino Mussato, autore di una nota tragedia in latino. Dante nella seconda sua egloga, modellata sulla settima bucolica virgiliana, declina anche il secondo invito per timore dei pericoli che possono derivargli da un eventuale soggiorno bolognese, tanto più che la squisita ospitalità ravennate di Guido Novello gli permette di dedicarsi con serenità al suo lavoro.
Allontanatisi i dubbi di una falsificazione boccacciana, le due egloghe si rivelano notevoli, nell’itinerario poetico di Dante, non solo per la suggestiva presenza di motivi autobiografici e per l’estrema appassionata difesa del volgare, ma perché segnano anche (ulteriore esempio di quell’incessante sperimentalismo capace di innovare profondamente gli statuti dei generi letterari) la rinascita in età medievale del genere bucolico, destinato a grande fortuna da Petrarca a Boccaccio fino a tutto l’Umanesimo.
 
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