Ravenna
Dante, abbandonata per motivi non precisabili Verona, trascorse gli ultimi anni della sua vita, verosimilmente a partire dalla seconda metà del 1318, a Ravenna, ospite, insieme con i figli Pietro, Jacopo e Antonia, di Guido da Polenta. Durante il soggiorno ravennate il poeta, che dovette godere, secondo l’attendibile notizia riportata da Boccaccio, anche del generoso beneficio di una casa, poté dedicarsi con tranquillità alla conclusione del Paradiso, favorito anche dal fatto che il signore di Ravenna, che pure gli affidò ambascerie e relazioni cancelleresche, non pretese mai dal suo illustre ospite un servizio continuo e ufficiale di segretario. Agli anni trascorsi a Ravenna sono riconducibili anche lo scambio di egloghe con Giovanni del Virgilio e, secondo la testimonianza di Cecco d’Ascoli, una disputa sul tema della nobiltà, svoltasi per iscritto tra lui e il poeta fiorentino. Se priva di fondamento, anche per l’assenza di documentazione concreta, è la notizia di un insegnamento pubblico di Dante a Ravenna, assai probabile, come si desume anche dalle Egloghe, è invece la costituzione nella città romagnola di un piccolo cenacolo dantesco, di cui fecero parte oltre allo stesso Guido Novello, anche il fiorentino Dino Perini, il medico e filosofo certaldese Fiduccio de’ Milotti, il notaio Piero Giardino e il medico Guido Vacchetta, nonché i figli Jacopo e Pietro e il notaio e rimatore ravennate Menghino Mezzani, cui non solo si deve un epitaffio per la tomba di Dante, ma forse anche un commento latino al poema.
Durante gli anni ravennati, Dante fu sicuramente a Verona nel 1320 per discutere la Questio e a Venezia alla fine di agosto o ai primi di settembre del 1321, come oratore in un’ambasceria per sostenere le motivazioni di Guido Novello da Polenta nel contrasto con i veneziani sul commercio del sale. Di rientro da quel viaggio, nella notte tra il 13 e il 14 settembre, muore per le febbri malariche contratte nel passaggio attraverso le paludi di Comacchio.

