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Il Libro della Scala e le influenze arabe: una questione irrisolta.

fotografiaCon il titolo Libro della Scala si identifica un antico testo escatologico arabo-spagnolo che, sviluppando un celebre passo del Corano, racconta la storia del viaggio che Maometto compie nell’al di là, guidato dall’angelo Gabriele. Salito al Paradiso, attraverso una scala lucente che dà il nome all’opera, Maometto supera otto cieli, in ognuno dei quali incontra un profeta, e arriva a Dio, che gli affida il Corano. La narrazione prosegue con la visita delle sette terre infernali, alternando la rappresentazione dei tormenti con ampie digressioni dell’angelo Gabriele sul giorno del giudizio e sulla prova del ponte. Finito il cammino, Maometto fa ritorno sulla terra e rivela ai Meccani la sua visione.

Il testo, di cui non si è conservata la versione originale, ha conosciuto una straordinaria fortuna ed è citato con una certa frequenza almeno fino alla fine del XVI secolo. Dopo una traduzione in castigliano (anch’essa perduta), che Alfonso el Sabio fece eseguire intorno al 1264 dal medico giudaico Abraham, si sono susseguite, sempre per volere del re, almeno altre due traduzioni, affidate questa volta all’italiano Bonaventura da Siena: la prima, in latino, è attestata da un manoscritto che oggi è a Oxford, mentre la seconda, in francese antico, è tramandata da due codici, conservati rispettivamente uno alla Bibliothèque Nationale de France e l’altro alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

La vicinanza tematica e, in qualche caso, anche formale della versione latina del testo arabo soprattutto con la prima cantica della Commedia ha indotto alcuni studiosi (Miguel Asìn Palacios, Enrico Cerulli, Maria Corti) ad includere il Libro della Scala nel vasto corpus delle fonti del poema e a riconsiderare l’ipotesi che l’escatologia musulmana abbia esercitato una qualche influenza sulla scrittura dantesca. Ma si tratta di una questione ancora molto dibattuta e che incontra forti e motivate resistenze tra i dantisti.

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