Sotto il convenzionale titolo di Rime va un insieme, eterogeneo per temi e forme, di 88 componimenti, “la più superba collezione di estravaganti”[1], a cui Dante non intese mai dare, se non per i 31 testi entrati nella Vita Nuova, la struttura di un organico canzoniere. Di qui la necessità avvertita da Barbi nel 1921 di ordinare, secondo un criterio approssimativamente tematico-cronologico, il corpus poetico dantesco in sette libri, con un appendice di rime di dubbia attribuzione. Il I libro contiene le rime confluite poi nella Vita Nuova; il II, Altre rime del tempo della Vita Nuova, comprende i componimenti giovanili, anteriori o contemporanei al libello, in cui accanto a testi di intonazione guittoniana, come ad esempio la tenzone con Dante da Maiano, si pongono poesie già fortemente condizionate dalla lezione stilnovistica di Guinizzelli e Cavalcanti; il III libro contiene la tenzone comico-realistica con Forese Donati; il IV di Rime allegoriche e dottrinali testimonia il nuovo impegno di Dante come cantor rectitudinis, che si apre verso tematiche etiche e morali affrontate in elaborate strutture formali, in cui agisce, sia pur sotterraneamente, la lezione del detestato Guittone; nel V libro di Altre rime d’amore e di corrispondenza, notevole è tra l’altro la corrispondenza con Cino da Pistoia; se le virtuosistiche rime petrose occupano il VI libro, l’ultimo è dedicato alle Rime varie del tempo dell’esilio, tra cui si dovranno segnalare almeno le impegnate Doglia mi reca, vibrante condanna dell’avarizia, e Tre donne intorno al cor mi son venute, dignitosa lamentatio sul proprio esilio.
Tale ordinamento è attualmente oggetto di vivace discussione. Se infatti Contini nella sua edizione del 1939 si limitò ad escludere le poesie della Vita Nuova, assai più radicale è la revisione proposta nel 2002 da De Robertis, che ha stravolto la sequenza ormai canonica di Barbi, proponendo di ordinare le rime dantesche secondo le indicazioni della più antica tradizione manoscritta.
[1] G. Contini, Introduzione alle ‘Rime’ di Dante (1939), in Id., Un’idea di Dante. Saggi danteschi, Torino, Einaudi, 1976, p. 4.