Guittone d’Arezzo
Un ruolo di assoluta centralità va riconosciuto nella tradizione letteraria italiana duecentesca a Guittone d’Arezzo (1235 ca.-1294), autore, oltre che di un corpus di lettere, di un ampio canzoniere di oltre 300 pezzi, costituito prevalentemente da canzoni e sonetti, ma anche da ballate sacre, o laude, di cui fu probabilmente l’inventore. La statura di caposcuola che già i contemporanei gli riconobbero trova conferma nell’assoluto rilievo che la sua produzione poetica assume nella più antica tradizione manoscritta della lirica italiana del ’200: il tardoduecentesco codice Laurenziano Rediano 9 si configura infatti come un libro d’autore, concepito per consegnare ai lettori un vero e proprio canone testuale dell’aretino. La sua attività poetica, programmaticamente bipartita in due sezioni, una precedente e una successiva alla conversione religiosa del 1265, è però costantemente caratterizzata dal ricorso a una attrezzatura metrica e retorica elaboratissima; da una strategia espositiva ossessivamente, anche se solo apparentemente, argomentativa; e, infine, da un arricchimento tematico, che affianca alla materia erotica, motivi civili, morali e politici.
Dante, in accordo per altro con Cavalcanti, espresse su Guittone, dal XXV capitolo della Vita Nuova al De Vulgari Eloquentia (I 13 1 e II 6 8) fino alla Commedia (Purg., XXIV 56 e XXVI 124-126), un giudizio severissimo, rimproverandogli povertà ideologica e municipalismo linguistico. Ma a fronte di questa pervicace e sistematica censura, lucidamente interpretata da Contini come sintomatica volontà di sbarazzarsi del rivale più pericoloso e come tentativo di nascondere dietro l’esplicito rifiuto un imbarazzante debito, si dovrà riconoscere non solo lo scotto pagato dal giovane Alighieri al magistero guittoniano (si pensi almeno alla tenzone con Dante da Maiano), ma anche il frequente reimpiego nel Dante delle canzoni morali e del poema di temi, calchi verbali e stilemi prettamente guittoniani.

