Guido Cavalcanti: primo de li miei amici
Guido Cavalcanti, nato a Firenze non dopo il 1259, autorevole esponente dei Bianchi, venne confinato nel 1300, nei mesi del priorato dantesco, a Sarzana, poiché implicato in una violenta rissa. Ammalatosi di malaria, richiamato a Firenze, vi morì nell’agosto dello stesso anno. Autore di un eccezionale corpus di rime, tra cui spicca l’impegnata canzone dottrinale Donna me prega, Cavalcanti rappresenta non solo una della figure di maggiore rilievo nel quadro poetico italiano di fine ’200, ma anche un riferimento ineludibile nell’intera biografia intellettuale di Dante. Gli inizi del percorso poetico di quest’ultimo, almeno fino alla Vita nuova, sono infatti di derivazione chiaramente cavalcantiana. Il sodalizio tra i due poeti prende avvio dal primo sonetto di Dante, A ciascun alma presa e gentil core, cui Guido risponde con Vedeste al mio parere onne valore: questo fu, come poi si dirà nella Vita nuova, “quasi lo principio de l’amistà tra lui e me”. Il rapporto si sviluppa nel decennio tra il 1285 e il 1295, con l’altro sonetto dantesco Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io e la replica di Cavalcanti S’io fosse quelli che d’amor fu degno, e con due pezzi rivolti da Guido a Dante: Se vedi Amore, assai ti priego, Dante e Dante, un sospiro messagger del core. Il rapporto amicale tra i due sembra essere ancora saldo all’altezza della Vita nuova, dedicata a Cavalcanti, definito “primo de li miei amici” e invocato, nel XXV capitolo, come sodale nella polemica contro Guittone. Ma Guido mostrò, come recenti indagini hanno chiarito[1], di non apprezzare la dedica, e di impegnarsi anzi in una articolata contestazione del sistema ideologico del libello dantesco, prima con la parodia affidata al sonetto Pegli occhi fere, poi con una celebre rimenata a Dante, scritta in persona dell’Amore-passione, I’ vegno ’l giorno a te, infine con Donna me prega, serrata contestazione di grande impegno teoretico. Le divergenze tra Dante e Cavalcanti erano infatti profonde: per il primo l’amore, guidato dalla ragione, diviene tomisticamente strumento di edificazione morale e viatico verso la divinità; per l’altro l’amore è averroisticamente una travolgente passione sottratta al controllo della ragione, i cui effetti appaiono devastanti per il soggetto che la subisce. Il dissenso espresso da Guido non rimase però senza replica: Dante affiderà infatti alla Commedia la propria risposta, non solo attraverso le due esplicite citazioni di Cavalcanti a Inf., X e a Purg., XI, che nel riconoscere il valore dell’antico amico ne sottolineano tuttavia il confronto limitativo con se stesso, ma soprattutto attraverso una complessa, allusiva operazione di correzione degli errori concettuali presenti in Donna me prega, che affida ai canti centrali (XVII e XVIII) del Purgatorio una nuova dottrina dell’amore conforme ai principi cristiani.
Cavalcanti, insomma, per dirla con Contini, aveva davvero “salato il sangue a Dante”[2].
[1] Vd. E. Malato, Dante e Guido Cavalcanti. Il dissidio per la ‘Vita Nuova’ e il “disdegno” di Guido, Roma, Salerno Editrice, 20042.
[2] G. Contini, Cavalcanti in Dante, in Id., Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 1976, p. 157.

