Idillio in endecasillabi sciolti, venne composto a Recanati fra estate e autunno 1821, e pubblicato la prima volta nel “Nuovo Ricoglitore” di Milano del gennaio 1826, e nell’edizione di Bologna 1826.
Il tema della vita solitaria è stato spesso trattato nella nostra tradizione letteraria (da Petrarca a diversi poeti del Settecento), e lo stesso Leopardi vi dedica varie riflessioni, innanzitutto nello Zibaldone (ad esempio pp. 678-83), ma anche nelle Operette morali (ad esempio nel Dialogo della Natura e di un Islandese e nell’Elogio degli uccelli) o nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, per non parlare del Passero solitario.
La vita solitaria si apre con la descrizione della solitudine campestre unita al rimpianto per la scomparsa delle speranze giovanili: fra le quali anche l’amore, su cui Leopardi si sofferma nella terza strofa. Quasi a negare però la perdita definitiva di tale sentimento, in alcuni versi il poeta sembra volersi illudere sulla possibilità purtroppo immediatamente e dolorosamente negata di un ultimo palpito amoroso, un soprassalto di vitalità e gioia causato dall’ascolto di un canto femminile (e non si può scordare al proposito l’importanza del canto delle fanciulle anche in A Silvia, vv. 7-12, e nelle Ricordanze, vv. 144-8):
... Ma non sì tosto,
amor, di te m’accorsi, e il viver mio
fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
non altro convenia che il pianger sempre.
Pur se talvolta ...
... di fanciulla
che all’opre di sua man la notte aggiunge
odo sonar nelle romite stanze
l’arguto canto; a palpitar si move
questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
ogni moto soave al petto mio. (vv. 52-6, 63-9)
Il Canto, che si era aperto sulla “mattutina pioggia”, si conclude (vv. 70-107) con un inno alla “cara luna”, “benigna / delle notti reina”.