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A Silvia

fotografia Composta a Pisa tra il 19 e il 20 aprile 1828, subito dopo Il risorgimento, e con lo stesso “spirito” (Leopardi scrisse alla sorella il 2 maggio ’28: “dopo due anni, ho fatto dei versi quest’Aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta”, riferendosi al Risorgimento e appunto ad A Silvia). Pubblicata la prima volta nell’edizione di Firenze 1831, è la prima “canzone libera”, o “leopardiana” (strofe di diversa misura di endecasillabi e settenari variamente rimati).

Dietro il nome di Silvia (ricavato, come quello di Nerina nelle Ricordanze, dall’Aminta del Tasso) si nascondono probabilmente i ricordi di alcune giovani recanatesi di cui Leopardi narra nei Ricordi d’infanzia e di adolescenza, e in particolare quello di Teresa Fattorini, morta di tisi nel 1818. Ciò che conta, naturalmente, non è l’esatta rispondenza biografica, ma l’immagine della giovane deceduta prematuramente che, a partire dalla propria autobiografia, Leopardi costruì nei Canti: dal Sogno ad A Silvia, alle Ricordanze, a Sopra un basso rilievo antico sepolcrale.

L’articolazione della poesia, una delle più famose di Leopardi, è nota: la prima parte, che contiene lo splendido ricordo di Silvia che canta seduta al telaio, è dedicata alle speranze giovanili, di Silvia e del poeta. La seconda parte è invece dedicata alla fine di quelle speranze: causata, nel caso della fanciulla, dalla morte (che le ha però risparmiato ogni futura delusione); nel caso del poeta, dall’“apparir del vero” (v. 60), cioè dalla consapevolezza che la vita umana è necessariamente infelice, e non quale la si era sognata nell’età giovanile:

Che pensieri soavi,

che speranze, che cori, o Silvia mia!

Quale allor ci apparia

la vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,

un affetto mi preme

acerbo e sconsolato,

e tornami a doler di mia sventura.

O natura, o natura,

perché non rendi poi

quel che prometti allor? perché di tanto

inganni i figli tuoi? (vv. 28-39)

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