Milano
Dietro invito dell’editore Antonio Fortunato Stella, che avrebbe voluto affidargli la direzione di un’edizione delle opere di Cicerone, Leopardi giunse a Milano il 27 luglio 1825 e vi rimase fino al 26 settembre. Con l’editore Giacomo aveva già collaborato in gioventù, pubblicando ad esempio diverse traduzioni nel suo “Spettatore”. Ma andando a Milano, il suo proposito era quello di avviare una forma di stabile collaborazione editoriale; ed effettivamente egli ottenne da Stella un assegno mensile fino alla fine del 1828 (l’unica retribuzione che abbia mai ricevuto). Durante questo periodo, egli per l’editore curò il commento alle Rime di Petrarca (1826), allestì le due Crestomazie, della prosa (1827) e della poesia (1828), e pubblicò il Martirio de’ Santi Padri (1826) e le Operette morali (1827).
L’aspirazione ad uno stabile rapporto con gli stampatori di Milano, capitale editoriale d’Italia, datava per Leopardi dalla giovinezza; e da questo punto di vista egli non restò certo deluso dal rapporto con Stella (e con suo figlio Luigi). Restò invece molto deluso dalla vita in città: “Qui mi trovo malissimo e di pessima voglia”, scrive a Pietro Brighenti l’8 agosto ’25; “Io vivo qui poco volentieri e per lo più in casa, perché Milano è veramente insociale”, ribadisce a Carlo Antici il 20 agosto ’25; e infine, scrivendo il 7 settembre ’25 a Carlo, traccia un giudizio impietoso sul proprio soggiorno:
Quel che ti scrissi di Milano [che fosse “uno specimen di Parigi”], fu una mia osservazione precipitata. Il fatto si è che in Milano nessuno pensa a voi, e ciascuno vive a suo modo anche più liberamente che a Roma. Qui poi ... non v’è neppur una società fuorché il passeggio ossia trottata, e il caffè ... Roma e Bologna, in questo, sono due Parigi a confronto di Milano. Vedi dunque quanto io era lontano dal provare il senso dello scoraggiamento per non poter far figura in un luogo dove nessuno la fa, e dove centoventi mila uomini stanno insieme per caso, come centoventi mila pecore.

