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Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > Il romanzo > Storia della colonna infame

Storia della colonna infame

fotografia Nell’edizione definitiva (1840-42) dei Promessi Sposi il testo del romanzo era immediatamente seguito da quello della Storia della colonna infame. A segnalare la continuità fra il testo narrativo e quello storiografico, la parola Fine compare non alla conclusione del romanzo, ma dopo l’ultima riga della Storia. Per Manzoni i due testi erano intimamente collegati. La Storia della colonna infame doveva far luce su una vicenda oscura che nei capitoli XXXI e XXXII del romanzo veniva accennata ma non approfondita. E’ la vicenda dei processi tenuti in Milano nel 1630 contro gli untori, cioè contro delle persone che una credenza superstiziosa, diffusa non solo nel popolino, accusava di diffondere il contagio della peste attraverso degli unguenti venefici spalmati sulle porte e sui muri della città. Per costringere gli untori ad ammettere colpe inesistenti, i giudici dei processi li sottomisero a torture atroci e infine li condannarono a una morte orribile. La casa di uno dei principali imputati, il barbiere Giangiacomo Mora, fu rasa al suolo e al suo posto venne eretta una colonna, con accanto una scritta che doveva ricordare l’infamia della colpa attribuita al Mora e agli altri condannati. Quella colonna fu abbattuta solo nel 1778. Spinto da un insopprimibile desiderio di accertare la verità e soprattutto di capire che cosa avvenisse nella mente dei giudici per indurli a un comportamento così irrazionale e disumano, Manzoni ricostruisce con scrupolo e minuziosa documentazione -in un modernissimo “libro-inchiesta”- tutto il procedimento giudiziario, con gli interrogatori, le torture, le disperate risposte dei torturati. A differenza di Pietro Verri, che nelle sue Osservazioni sulla tortura (1777) aveva attribuito il comportamento dei giudici all’ignoranza dei tempi e alla presenza dell’istituto della tortura, Manzoni ritiene che i giudici avrebbero potuto dare ascolto alla propria coscienza, e che fu dunque una loro precisa colpa morale se invece si lasciarono intimorire dalla furia popolare contro gli untori e addirittura abusarono della tortura, anche quando la legislazione corrente li invitava alla cautela.

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