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Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > Il romanzo > La revisione linguistica

La revisione linguistica

fotografia In un brano dell’Appendice alla Relazione sulla questione della lingua unitaria (1869) l’anziano Manzoni ricorda i propri travagli all’epoca della composizione del romanzo, dal 1821 in poi. Erano i travagli di «uno scrittore non toscano che, essendosi messo a comporre un lavoro mezzo storico e mezzo fantastico, e col fermo proposito di comporlo, se gli riuscisse, in una lingua viva e vera, gli s’affacciavano alla mente, senza cercarle, espressioni proprie, calzanti, fatte apposta per i suoi concetti, ma erano del suo vernacolo, o d’una lingua straniera, o per avventura del latino, e naturalmente, le scacciava come tentazioni». In effetti il problema del Manzoni, che possedeva due “lingue materne”, il milanese e il francese, era quello di trovare una lingua per la prosa del suo romanzo: una lingua italiana comune, popolare, conversevole, e che dunque non fosse la lingua aulica e raffinata della tradizione (quella in cui era ancora scritto l’Ortis, il romanzo epistolare del Foscolo). La lingua del Fermo e Lucia era eclettica, mista di toscanismi, lombardismi, francesismi e persino latinismi (di ciò si lamentava l’autore nella seconda Introduzione, scritta da ultimo nel 1823).  Nel rifacimento dell’abbozzo lo scrittore passò da una lingua artificiale a una lingua vera, il toscano: egli l’apprese tramite un’intensa attività di postillatore di vocabolari toscani, milanesi e francesi, e leggendo moltissimi testi in “lingua”, specialmente comici e popolareggianti. Ma questa nuova lingua  (“toscano-milanese”, come lo scrittore la definiva)  era una lingua ancora “libresca”. E’ solo in una terza fase, nella cosiddetta “risciacquatura in Arno” che il romanzo acquista una veste linguistica definitiva, modellata sul toscano dell’uso vivo , con preferenza per il fiorentino. Manzoni in questa fase (in particolare verso la fine degli anni Trenta, a ridosso dell’edizione illustrata) ricorse ai nuovi amici conosciuti nel viaggio in Toscana del 1827. Poté anche giovarsi dell’aiuto della signora Emilia Luti, che soggiornava in casa Manzoni come dama di compagnia delle figlie, ma in realtà era un’utilissima “parlante” fiorentina.

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