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La questione del giansenismo

Fondato dal vescovo fiammingo Cornelio Giansenio (1585-1638) il giansenismo ebbe il suo centro di diffusione nel monastero benedettino di Port-Royal, in Francia, e annoverò tra i suoi sostenitori Blaise Pascal, filosofo caro al Manzoni. Una questione a lungo dibattuta, e non completamente risolta, dagli studiosi del Manzoni è quella relativa al suo presunto giansenismo. Tutti gli studiosi sono concordi nell’escludere un’adesione di Manzoni al giansenismo sul piano prettamente teologico, e ad ammettere una forte simpatia dell’uomo e dello scrittore per l’austero rigorismo morale teorizzato e messo in pratica dai giansenisti.  Educato spiritualmente, dopo la conversione, da due sacerdoti giansenisti, come Eustachio Degola e Luigi Tosi, e già per sua indole incline a una profonda introspezione, Manzoni poteva ben sentirsi vicino a una religiosità più raccolta e intimistica, più rigorosa nei comportamenti e nelle pratiche della fede, più attenta agli insegnamenti evangelici come era la religiosità giansenistica. E certo poteva ben essere solidale col movimento di riforma dei costumi ecclesiastici che i giansenisti, pur rispettosi delle istituzioni, venivano conducendo dal Seicento in poi, e con la loro critica alla mondanizzazione della Chiesa e all’intreccio fra gli interessi del clero (controriformistico e gesuitico) e quelli del potere laico. Fu anche la comune consonanza con la spiritualità giansenista a consolidare l’amicizia tra Manzoni e Antonio Rosmini; a differenza del quale, tuttavia, Manzoni sentiva fortemente la distinzione fra Stato e Chiesa ed era contrario al potere temporale del papa.  Sul piano della dottrina teologica (la predestinazione della Grazia divina e il suo rapporto con il libero arbitrio) non vi sono attestazioni di un’adesione del Manzoni a quelle che la Chiesa definiva eresie. E’ vero, peraltro,  che la concezione giansenistica secondo cui l’uomo, senza l’intervento (imperscrutabile) della Grazia è destinato in questo mondo solo a fare il male e a peccare, sembra nutrire il profondo pessimismo storico manzoniano, che si addensa in figure drammatiche come Adelchi o Ermengarda.

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