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L’autodenuncia all’Inquisizione

Dopo un soggiorno a Modena alla fine del 1576, e un passaggio a Comacchio, ove la corte del duca trascorreva la stagione del Carnevale, il Tasso tornò a Ferrara nel marzo del 1577. Inquieto ed insicuro da tempo, chiese prima al duca di Urbino servitori fidati, temendo di essere sorvegliato e ingannato nella corte estense, pretese poi di essere esaminato dal locale inquisitore, con l’intenzione di dichiarare spontaneamente i suoi dubbi di fede. Il colloquio ebbe luogo il 7 giugno e il poeta venne giudicato innocente da ogni colpa di eresia: nel frattempo però formulava accuse pesanti contro Antonio Montecatini, potente personaggio della corte estense che riteneva insidioso e malevolo. Scontento di un esame che giudicava formale e insufficiente, e magari, cosa non improbabile, pilotato dal duca, il Tasso dichiarò di volersi rivolgersi per un colloquio più accurato all’Inquisitore di Bologna (e poco dopo avrebbe scritto una supplica direttamente all’Inquisizione romana: si veda T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, 5 voll., Firenze, Le Monnier, 1852-55, vol. I, 254-255) destando le preoccupazioni di Alfonso e peggiorando la sua posizione a corte.












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