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La Risposta di Roma a Plutarco

fotografia Nel 1587 il Tasso annunciava di aver promesso a Fabio Orsini, da poco entrato nel gruppo dei suoi sostenitori, una operetta per «riprovare l’opinione di Plutarco de la virtù e fortuna di Alessandro, e di quella de’ Romani» (T. Tasso, Le lettere, a cura di C. Guasti, 5 voll., Firenze, Le Monnier, 1852-55, vol. III, 225). Solo tre anni dopo, nel marzo del 1590, Tasso avrebbe mantenuto l’impegno, completando, prima di partire per Firenze, la Risposta di Roma a Plutarco. Il testo riprendeva e contestava due brevi opuscoli di Plutarco (il De fortuna Romanorum e il De fortuna vel virtute Alexandri) che prospettavano l’ipotesi della grandezza dell’Impero Romano come prodotto di Fortuna e non di Virtù, ma raccoglieva anche le pagine che al tema avevano dedicato Livio prima e poi Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Per difendere la virtù dei Romani Tasso non solo sfruttava un insieme ricchissimo di esempi tratti dalla storia antica, non solo discuteva largamente di questioni militari, ma faceva confluire nella prosa le vaste letture accumulate negli anni e in una prima sezione, naturalistica, commentava a lungo l’ordine della natura e dell’universo come esempio di un cosmo regolato, nel quale nulla (e dunque neppure il lungo dominio dei Romani) avveniva a caso. Erano le questioni che di lì a poco sarebbero transitate nei versi del Mondo creato, qui formulate non in versi ma nelle tornate di una prosa studiata, inclinata in chiave patetica, che rende la Risposta una delle ultime prove significative dell’oratoria cinquecentesca.

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