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Petrarca
«Però prepongo a tutti il Petrarca»: così scriveva il Tasso nei Discorsi del poema eroico, ad una latitudine cronologica avanzata ed avendo alle spalle una lunga dimestichezza con il testo dei Fragmenta, prima memorizzato in modo capillare e poi ripreso e sezionato nell’ambito di una riflessione di poetica che si incentrava in particolare sulla distinzione e sulla gerarchia tra generi letterari. Mentre Petrarca risultava il modello di tutta la lirica cinquecentesca, anche quando messo in discussione e magari filtrato da una ricerca originale, il Tasso a lungo meditò sulla possibilità di un inserimento del codice lirico petrarchesco entro la compagine dell’epica: il grande precedente virgiliano di Enea e Didone indicava la possibilità non solo di aggiungere episodi amorosi alla favola principale di impronta bellica, ma anche di intrecciare lo stile alto conveniente al poema eroico con quello mediano della lirica. A questa altezza, appunto, il Canzoniere del Petrarca, cui Tasso guardò costantemente come ad un modello nell’ambito delle sue rime, e che viene puntualmente richiamato nell’autocommento
, riusciva un precedente formidabile, attivo in ciascuna delle sezioni amorose della Liberata, nella complessa dinamica che lega Tancredi, Erminia e Clorinda (giocata in larga misura sotto il segno dell’amante nemica e della ferita d’amore), ma anche nei versi che descrivono le bellezze di Armida come irresistibile fattore di attrazione (e deviazione) nel campo crociato prima e poi in Rinaldo.
 
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