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Percorso testuale   Home Page > Percorso testuale > Dopo Sant’Anna > L’autocommento alle Rime

L’autocommento alle Rime

fotografia Il progetto di un’edizione complessiva e riordinata del corpus delle rime, sedimentatosi in diverse stagioni, prevedeva un commento ai testi, “esposizioni” cui il Tasso prese a lavorare nella seconda metà degli anni ’80 e con le quali intendeva fornire un’esegesi precisamente orientata delle liriche. Da un lato sono molto numerosi i rimandi alla tradizione letteraria precedente, con Petrarca e Bembo in prima linea, ma anche con frequenti richiami alla lirica latina, ad esplicitare una tensione agonistica verso i modelli; d’altra parte il commento mirava a raffreddare la materia amorosa, aggiungendo frammenti di dottrina filosofica con citazioni da Platone, Aristotele o San Tommaso. Esemplare al riguardo un passaggio del commento al sonetto inaugurale, Vere fur queste grazie e questi ardori, quando a proposito del sintagma ostinati cori Tasso annotava: «ne l’amor concupiscibile non vi può esser costanza ma ostinazione; ma l’amore, il quale è abito nobilissimo della volontà, come dice San Tommaso ne le operette, è costante nel bene che si propone per oggetto». L’autoesegesi tassiana rappresenta così un momento affascinante: lo specchiarsi, spesso a distanza di molti anni, di un autore con i propri testi, e la sua tensione a mutarne parzialmente indirizzo, a stratificarli di rimandi e di significati ulteriori, oltre la semplicità dell’esercizio lirico iniziale. L’autocommento accompagnò le liriche tassiane in due edizioni seguite dal poeta (e delle quali egli si mostrò rapidamente insoddisfatto): la prima a Mantova, presso Osanna, alla fine del 1591, la seconda a Brescia, nel 1593.

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