«Raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie»: il Decameron
Cento novelle, distinte in dieci giornate e dichiarate da dieci novellatori: potrebbe essere riassunto in questi scarni termini numerici il contenuto del Decameron di Giovanni Boccaccio. La definizione risulterebbe però fallace, poiché costruita, a ben vedere, su un termine dalla valenza ambigua: “novella”.
Nel proemio dell’opera è lo stesso Giovanni Boccaccio ad affermare di voler narrare “cento novelle, o favole o parabole o istorie” (I: Proemio, 13[1]). La serie dei sostantivi implicati nella nomenclatura è stata da sempre oggetto di un’interpretazione mirata alla ricerca delle differenze semantiche, adombrate dai quattro termini, con il risultato di produrre definizioni poco perspicue del vocabolario tecnico e di mitigare l’evidente intenzione sinonimica della quaterna proemiale. Studi più recenti hanno dimostrato come la proposizione autoriale vada letta piuttosto nella direzione di un tentativo di codifica del genere novellistico. Nella cultura volgare precedente a Boccaccio è ormai accertata la progressiva desemantizzazione dei termini impiegati nel proemio decameroniano e l’orientarsi dei loro significati verso la valenza più generica del sostantivo “racconto”[2]. Spetta dunque a Boccaccio la risemantizzazione della terminologia letteraria, all’interno di una nuova e meditata poetica. Centrale, in quest’operazione, sarebbe il sostantivo “novella”, rispetto al quale “favola”, “parabola” e “storia” andrebbero a qualificarsi in funzione appositiva, nel tentativo di rendere ragione della polisemia intrinseca al genere novellistico. Se con “favola” è adombrata l’accezione fittizia della novella letteraria, con “parabola” si specifica piuttosto il suo valore parenetico mentre con “storia” si allude al resoconto di fatti concreti[3]. Boccaccio predica l’estrema varietà tematica del Decameron, ribadendo però l’unitarietà generica della raccolta, poiché a veicolare i più disparati significati saranno sempre e solo le novelle.
[1]Giovanni Boccaccio, Decameron, a c. di V. Branca, Torino 1999, vol. I, p. 9.
[2]S. Sarteschi, Valenze lessicali di «novella», «favola», «istoria» nella cultura volgare fino a Boccaccio, in Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento. Atti del Convegno di Pisa, 26-28 ottobre 1998, a c. di G. Albanese-L. Battaglia Ricci-R. Bessi, Roma 2000, pp. 85-108.
[3]L. Battaglia Ricci, Boccaccio, Roma 2000, p. 135; E. Malato, La nascita della novella italiana, in Favole parabole istorie. Le forme della scrittura novellistica dal Medioevo al Rinascimento. Atti del Convegno di Pisa, 26-28 ottobre 1998, a c. di G. Albanese-L. Battaglia Ricci-R. Bessi, Roma 2000, pp. 17-29.

