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Percorso tematico   Home Page > Percorso tematico > Intorno al Decameron > X. Griselda

Le dieci giornate

X. Griselda

Gualtieri di Saluzzo, marchese costretto a prendere moglie in ossequio alla ragione di stato, sceglie come consorte una giovane povera e di umili origini, Griselda (10). La donna dovrà superare una serie di prove, sempre più crudeli, per confermare la propria sottomissione al marito. Gualtieri dapprima le fa credere di avere ucciso la prole, quindi la ripudia per una nuova sposa, che è in realtà la loro comune figlia. La docilità e la rassegnazione, con le quali Griselda pazientemente sottostà al volere del coniuge, sono l’arma vincente che ne decreta l’ossequio finale. Reputata da tutti “savissima” per l’accondiscendenza provata, Griselda è festeggiata in seno alla propria famiglia, ricomposta di tutti i suoi membri (padre, madre e i due figli).

La novella è stata molto apprezzata da Petrarca, che la lesse come alto exemplum morale, e ne curò una traduzione parziale in latino, affidata alla Seniles XVII 3. Con il titolo De insigni obedientia et fide uxoria l’apologo circolò ampiamente e incontrò una notevole fortuna, in questa veste ridotta, che ne esaltava il carattere parenetico.

Il valore della novella non è in realtà riducibile alla solo funzione di insegnamento morale. All’interno dell’economia dell’opera ne è stata sottolineata da Vittore Branca[1] la funzione di ideale coronamento di un percorso ascensionale, che guiderebbe il lettore dalla pravità di Ser Ciappelletto al valore di Griselda. A bene vedere però, la modellizzazione della biografia della giovane popolana piemontese sulle vite dei santi e dei martiri può dirsi solo parzialmente aderente. In questa ottica gli ostacoli frapposti da Gualtieri starebbero a rappresentare l’azione delle forze del peccato. Non si spiegherebbe pertanto il conclusivo e glorioso ricongiungimento con il marito, che suggella la storia, se Gualtieri fosse idealmente rappresentato come un emissario del Maligno. Quello che il marchese sembra più verosimilmente incarnare è invece l’autorità sociale del capofamiglia, ribadendo l’importanza della cellula famigliare, secondo un’ideologia che si afferma sempre più prepotentemente nelle giornate conclusive del Decameron.

[1]V. Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Firenze 19907.

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