La morte a Toledo
Negli anni inquieti e drammatici che Castiglione trascorre in Spagna, muoiono dapprima la duchessa di Urbino, Elisabetta Gonzaga (28 gennaio 1526), e poi Emilia Pio (20 maggio 1528). Sono, per Baldassarre, i segni che l’epoca di cui è stato testimone e protagonista è ormai alla fine. L’11 luglio del 1528, in simile disposizione d’animo, egli scrive ai tre figli, Camillo, Anna e Ippolita, che non vede da quattro anni, una breve lettera in latino. Il testo ha il carattere di un testamento spirituale, e la serenità premonitoria di un addio. Lo dimostrano le parole di saluto, intrise di alta coscienza di sé e limpida percezione dell’amaro destino, che, in particolare, egli rivolge al primogenito Camillo: “Disce puer virtutem ex me verumque laborem. Fortunam ex aliis” (= “Impara da me, caro ragazzo, la virtù e l’operosa perseveranza. La fortuna da qualcun altro”; in V. Cian, Nel mondo di Baldassarre Castiglione, “Archivio storico lombardo”, 7, 1942, 89).
In quegli stessi mesi l’imperatore Carlo V, come estremo segno di fiducia e di stima, gli offre il vescovado di Avila, che Castiglione dichiara di non poter accettare fino a che le turbolenze tra l’imperatore e il papa non siano definitivamente risolte. Nel gennaio del ’29 Clemente VII fa pervenire al nunzio il suo beneplacito per l’assegnazione, sicché, senza indugio, si procede alla solenne investitura, che porta a Castiglione onore e conforto.
Il 2 febbraio 1529 però, a Toledo, sfiancato dalla polemica con Valdés e dai travagli, dagli strapazzi fisici e morali degli ultimi tempi, Baldassarre viene colpito da violenti febbri, che l’8 febbraio, poco più che cinquantenne, lo conducono alla morte. Viene seppellito nella cattedrale della città; le cerimonie funebri sono accompagnate solennemente da tutti i dignitari, ecclesiastici e laici, della corte imperiale, e da grandissima folla. Carlo V lo rimpiange pubblicamente di fronte alla corte e al nipote Tommaso Strozzi, suo segretario ed esecutore testamentario.

