La morte (e le morti) nel Cortegiano
La morte è ciò che rende possibili la scrittura di Castiglione e l’ideazione del Libro del Cortegiano, quale rievocazione postuma della splendida corte di Urbino, quando ormai, però, i protagonisti di quella stagione sono usciti di scena, appartengono irreversibilmente al passato. È morto il duca, Guidubaldo di Montefeltro; è morta la maggior parte dei personaggi che compaiono nel corso dei dialoghi: l’opera celebra un idillio di cui la storia ha già sancito la fine. Si tratta di una raffinata operazione letteraria che Castiglione compie avendo a modello il De oratore di Cicerone, che prendeva avvio dalla celebrazione della intempestiva scomparsa di Crasso. E però a Baldassarre preme che i suoi lettori, afferrata la citazione ciceroniana, apprezzino soprattutto l’originalità della sua versione. Egli, infatti, si rifiuta di trasportare nel proprio discorso i toni più sofferti e pessimistici presenti nel De oratore.
La morte di Crasso è utilizzata da Cicerone come spunto per segnalare la decadenza della società romana e l’inutilità del proprio impegno politico; Crasso viene presentato come il campione di una generazione ormai perduta, di uomini di grande valore che hanno avuto la fortuna di non vedere il triste e desolato presente. Ma non è questa la strategia di Castiglione, che, semmai, vuole capovolgere la malinconia e la rassegnazione del suo modello. La constatazione della morte degli amici più cari, e della violenza perpetrata da Leone X e Lorenzo de’ Medici ai danni della corte di Urbino, non produce rimpianto, ripiegamento, sconforto. Allo scoraggiamento indotto dal lutto Castiglione replica ostentando, per tutta l’opera, le luci e le conquiste dell’età presente, nei campi della cultura e della vita civile, che costituiscono il nutrimento di una consapevole fiducia nell’avvenire. Ogni esempio è destinato a rimanere come ammonimento, per essere ripreso nel futuro: nella percezione di Baldassarre, a dispetto dei reali dolori, non ci sono fratture o lacerazioni irreparabili. Il sorriso è radicato nella sua tempra etica, e a nessun bene realizzatosi nel passato è preclusa la possibilità di ripetersi.

