La lettera a Alfonso de Valdés
Dopo il Sacco di Roma, avvenuto nel maggio del 1527, Castiglione, che si trova in Spagna in qualità di nunzio apostolico presso la corte di Carlo V, è coinvolto in un durissimo scontro dottrinale e ideologico con l’umanista Alfonso de Valdés. Questi, infatti, elabora e divulga, se pure in forma manoscritta, un libello intitolato Diálogo de las cosas occurídas en Roma, in cui, mediante il recupero di temi tipici della predicazione luterana, il barbaro scempio, compiuto dalle truppe presenti in Italia per conto dell’imperatore, viene legittimato come punizione divina nei confronti della curia corrotta. A ciò Baldassarre replica mediante la composizione di una lunghissima lettera, dalla forte nervatura retorica e apologetica, non estranea ai toni furenti dell’invettiva e dell’accusa. Qui in primo luogo viene deprecato il fatto che l’opera del Valdés, a dispetto delle pacifiche rassicurazioni di Carlo V, sia stata composta e diffusa sotto i suoi occhi.
Castiglione concede al suo interlocutore che a Roma siano numerosi gli ecclesiastici indegni, per ignoranza e scarsa moralità. Tuttavia ribadisce che nulla può valere a giustificare la violenza feroce selvaggia, perpetrata contro gli innocenti e a danno dei simboli più sacri della religione cristiana. “E se i sacerdoti scrive Castiglione fussero tali che ingannassero il volgo, e per questa via cercassero di guadagnar denari, che ha che fare in questo caso al castigo loro spogliare e rubar quella croce e il resto della chiesa, ammazzare uomini e donne e fanciulli, violar donzelle, e metter ogni cosa a sacco, a fuoco e a sangue?” B. Castiglione, Lettere, a cura di P. Serassi, II, Padova 1771, 180).
Al nunzio pare una mostruosità intollerabile il fatto che simili azioni siano state compiute dall’esercito di Carlo V, imperatore dei cristiani, e poi giustificate dal suo segretario. Egli si trova dunque costretto alla difesa della Chiesa e del papa Clemente VII, di cui pure non manca di riconoscere gli errori, e ammette, data la gravità della situazione, di dover ricorrere agli strumenti estremi. La controversia rischia di dilaniare la cristianità e di mettere Madrid contro Roma, e perciò Valdés va deferito all’Inquisizione come eretico. Nella parte conclusiva dell’epistola lo stesso Castiglione cede al risentimento e scaglia attacchi personali per denunciare la malafede del suo avversario: Valdés, infatti, ha la malignità dipinta “nella pallidezza di quel volto pestilente e in quegli occhi velenosi e risi sforzati, che par che sempre spirino tradimenti”.

