Charles S. Singleton
Charles S. Singleton (1909-1985), studioso nordamericano, dopo essersi occupato di testi rinascimentali e del Decameron, ha rivolto a partire dal 1949 i suoi interessi all’opera di Dante, offrendo rilevantissimi contributi che hanno proposto questioni critico-teoriche, divenute imprescindibili per la successiva critica dantesca. Fondamentale, tra le molteplici suggestioni offerte dai saggi del critico, l’invito pressante, al fine di un’integrale comprensione e valutazione della poesia della Commedia, a recuperare, con un esercizio scrive Singleton di “immaginazione storica”, la prospettiva religiosa e trascendentale attraverso cui la cultura medievale interpretava la realtà, concepita come insieme contestuale di dati reali e di segni del Creatore. Nella Commedia, infatti, Dante ha imitato i due libri attraverso cui Dio si è rivelato agli uomini: il mondo, con il suo sistema di segni e simboli, e la Bibbia. Il poema dantesco, dunque, in quanto mimesi del mondo è rivelazione allegorica dei segni divini che vi sono impressi; in quanto testo costruito sul modello della Sacra Scrittura veicola in modo allegorico un messaggio di salvezza, che riguarda il pellegrino Dante, ma anche l’intera umanità. E, fondandosi sull’Epistola XIII, Singleton non ha dubbi nel ritenere che la Commedia sia stata organizzata secondo il modello dell’esegesi biblica, della cosiddetta allegoria dei teologi, nella quale il senso spirituale non annulla il senso letterale, ma ne lascia intatta la realtà storica, giustapponendosi ad essa. Per realizzare il suo edificio, Dante però ha dovuto organizzare la materia in modo da suggerire e rendere credibile ai suoi lettori il riferimento ai modelli divini: “la fictio della Commedia è che essa non sia una fictio”[1]. In tale prospettiva dunque la struttura, cioè l’organizzazione secondo criteri teologici del poema, non è più, come credeva Benedetto Croce, un ostacolo alla poesia, ma anzi mezzo espressivo privilegiato per manifestare la complessità e originalità del pensiero di Dante.
[1] Ch. S. Singleton, La sostanza delle cose vedute, in Id., La poesia della ‘Divina Commedia’, Bologna, Il Mulino, 1978, p. 88.

