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La prosa ciceroniana fu per il giovane Petrarca il supremo modello sul quale forgiare il proprio latino: come egli ricorda in una lettera tarda, "sin dalla prima fanciullezza, quando tutti gli altri ammirano Prospero o Esopo, io studiai i libri di Cicerone" (1) (
Seniles XVI 1). Dai manoscritti superstiti della sua
biblioteca e dalle citazioni disseminate nei suoi scritti possiamo valutare che Petrarca conobbe una larga parte dell'opera ciceroniana a noi nota (e forse anche ignota, se è vero ciò che la stessa lettera racconta, del trattato
De gloria prestato a
Convenevole da Prato e mai più restituito); egli stesso contribuì anzi ad accrescerne il
corpus, riscoprendo a
Liegi nel 1333 l'orazione
Pro Archia poeta e reimmettendola nei circuiti culturali.
Di autentica imitazione si può parlare per i primi due libri dell'
Africa, adattamento del
Somnium Scipionis; importante fu anche il ruolo di mediatore svolto da Cicerone per la forma dialogica del trattato filosofico, praticata da Platone e ripresa nel
Secretum. Ma un vero e proprio spartiacque fu per Petrarca la scoperta di buona parte dell'epistolario ciceroniano (cioè le lettere ad Attico, al fratello Quinto e a Bruto; non quelle
Ad familiares, che gli rimasero sconosciute), probabilmente avvenuta a
Verona nel 1345: essa diede il primo impulso a una svolta della propria attività letteraria, concretizzatasi con il brusco abbandono dei
Rerum memorandarum libri e con la decisione di raccogliere il proprio epistolario, fino ad allora lasciato circolare in modo disperso, nelle
Familiares; ossia, in sostanza, con l'opzione per una letteratura di impronta autobiografica e morale a preferenza di quella troppo apertamente classicheggiante e celebrativa degli anni Trenta.
L'epistolario ciceroniano rivelò a Petrarca anche le debolezze umane dell'autore e gli ispirò la composizione delle lettere agli scrittori antichi, le prime due delle quali (
Familiares XXIV 3 e 4) sono indirizzate appunto a Cicerone: una per rimproverarne la volubilità, l'altra per lodarne l'eloquenza. Su questa immagine bifronte Petrarca dovette affrontare una discussione con alcuni appassionati, a
Vicenza nel 1351.
(1) "ab ipsa pueritia, quando ceteri omnes aut Prospero inhiant aut Esopo, ego libris Ciceronis incubui".