Il Rinaldo
Avviato subito dopo l’interruzione del Gierusalemme, il Rinaldo impegnò il Tassino tra il 1560 e il 1562, nel periodo trascorso prevalentemente a Padova attendendo a studi giuridici che non lo entusiasmavano. Questa l’ottava proemiale del poema, risolutamente di altro tono rispetto all’esordio del Gierusalemme, a testimonianza di una consapevolezza sollecita dell’intervallo che correva tra una prova di matrice ariostesca e il tentativo dell’epica:
Canto i felici affanni e i primi ardori
che giovanetto ancor soffrì Rinaldo,
e come ’l trasse in perigliosi errori
desir di gloria ed amoroso caldo,
allor che, vinti dal gran Carlo, i Mori,
mostraro il cor più che le forze saldo;
e Troiano, Agolante, e il fiero Almonte
restar pugnando uccisi in Aspramonte. (Dall’edizione a cura di L. Bonfigli, Bari, Laterza, 1936).
Nella scelta tassiana il desiderio di gloria e la passione amorosa (v. 4) movimentano il cammino del giovane Rinaldo, eroe principale e unico della favola, in alternativa esplicita alla molteplicità narrativa del Furioso, all’interno di una materia ripresa dal patrimonio narrativo carolingio, ma poi arricchita e stratificata con elementi provenienti da altre tradizioni, come quella arturiana e ancora quella spagnola dell’Amadigi cantato da Bernardo. Le imprese del protagonista, i suoi percorsi avventurosi e le prove di eroismo, sono dunque sede di una impegnativa operazione di mediazione tentata dal Tassino, il quale innesta nel Rinaldo tessere classiche già fatte proprie, a partire dal precedente virgiliano di Enea e Didone ripreso per la narrazione degli amori, e percorre poi il sentiero del romanzesco e degli incanti che solo parzialmente e localmente avrebbe avuto ammissione nell’epica de La Gerusalemme liberata. I giudizi dei primi lettori del poema, tra cui il Venier, furono così favorevoli che guadagnarono al Tasso non solo una stampa veneziana del poema (a Venezia, nel 1562), ma anche il passaggio dagli studi di diritto a quelli letterari, avviati nell’autunno del 1562.

