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Omero
«Quando scrissi a Vostra Signoria l’altro giorno non avea letto Omero di fresco e tutto ciò che affermai forse troppo arditamente affermai, fidandomi nella memoria. Ho poi in questi giorni trascorso l’Iliade e trovo non essermi ingannato punto» (T. Tasso, Lettere poetiche, a cura di C. Molinari, Parma, Guanda, Fondazione Pietro Bembo, 1995, 126). Si tratta di uno dei tanti brani delle Lettere poetiche in cui i nomi di Omero e Virgilio ricorrono come precedenti autorevoli, guide nella composizione del poema. Il modello omerico in particolare venne assunto dal Tasso quale paradigma sia al momento di progettare gli snodi della favola, sia quale schermo con cui difendersi nei dibattiti di poetica: così Rinaldo veniva investito del ruolo di «eroe fatale» come l’Achille dell’Iliade; così l’andamento degli scontri tra gli eserciti, crociato e pagano, era delineato sulla base delle battaglie che avevano opposto Troiani e Greci. Seppure il Tasso in più occasioni mostrò di nutrire dubbi riguardo al decoro del dettato omerico, il modello dell’Iliade avrebbe assunto importanza ancora maggiore nella stagione più avanzata, sia nelle pagine dei Discorsi del poema eroico, sia e soprattutto nelle ottave della Conquistata, ove appunto l’accresciuta filigrana omerica è uno dei fattori di correzione rispetto al testo della Liberata. Di questa lunga dimestichezza con l’autore greco rimane traccia in un volume annotato dal Tasso, l’edizione di Omero nella traduzione del Valla stampata a Lione nel 1541 (l’esemplare è conservato presso le Cornell University Libraries).
 
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