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Percorso tematico   Home Page > Percorso tematico > Il confronto con Machiavelli > Sulla efficacia della virtù

 Sulla efficacia della virtù

fotografia Il punto di massima divaricazione tra Machiavelli e Castiglione ruota intorno al trattamento che i due autori riservano al concetto di virtù in relazione alla prassi politica. La lezione che si estrae dal Principe, a questo proposito, è perentoria: le virtù tradizionalmente prescritte agli uomini di governo, a partire da Platone e poi in tutta la letteratura classica e umanistica, sono inutili; la bontà, negli affari di stato, è inefficace e, anzi, dannosa. “Perché gli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa, per quello che si doverrebbe fare, impara più presto la ruina che la perservazione sua: perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene che ruini in fra tanti che non sono buoni. Onde è necessario, volendosi uno principe mantenere, imparare a potere essere non buono e usarlo secondo la necessità” (N. Machiavelli, Il principe, a cura di G. Inglese, Torino 1995, 102-103). Sulla base di un amaro riconoscimento di tipo antropologico (la congenita “cattiveria” della natura umana), Machiavelli teorizza un radicale diaframma tra il piano della morale e quello della realtà. Ne deriva, per il principe, la legittimità di ricorrere a azioni e comportamenti espressamente maliziosi, che esulano dai valori etici comuni, al fine di conservare e difendere il suo potere.

Si tratta di una prospettiva che Castiglione non è disposto in alcun modo a condividere, non per astratto idealismo ma per diversa tempra umana. Le sue scelte, biografiche oltre che letterarie (a partire dalla affettuosa predilezione per Guidubaldo di Montefeltro), dimostrano come al fondo del suo agire e del suo pensare ci sia una ideologia opposta a quella di Machiavelli: ai suoi occhi, infatti, come viene sancito nel quarto libro del Cortegiano, l’obiettivo ultimo deve essere non il successo immediato, ma il perseguimento di un ideale, la cui lontananza dal terreno della prassi non è sinonimo di inutilità. Non è vero, si legge tra le righe del Cortegiano, che chi è umano e virtuoso, onesto e leale, è con ciò stesso condannato alla sconfitta; ma se anche così fosse, è preferibile – per Castiglione – non tradire se stessi e la propria dignità che una vittoria a tutti i costi. Infatti, i successi intellettuali e le conquiste morali valgono più di quelli ottenuti sui campi di battaglia.

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