La città di Roma costituisce uno dei punti di riferimento fondamentali nella biografia castiglionesca. Qui egli risiede in ripetute circostanze, tra il 1504 e il 1524, come ambasciatore, di volta in volta, per conto di Francesco Gonzaga, Guidubaldo di Montefeltro, Francesco Maria Della Rovere, Federico Gonzaga. Qui egli entra in rapporto con i pontefici (Giulio II, Leone X, Adriano VI, Clemente VII) e con gli uomini della curia, nonché con i protagonisti della vita artistica e intellettuale; qui coglie alcuni dei suoi maggiori successi diplomatici; qui, dopo la morte della moglie Ippolita Torelli, riceve gli ordini ecclesiastici; e qui in fine, nel tratto estremo della sua parabola, si decidono in gran parte i destini della sua intensa esistenza.
Il primo incontro con la città risale al marzo del 1503, quando egli è chiamato a far parte di una missione inviata a papa Alessandro VI dai Gonzaga, desiderosi di rimanere in buoni rapporti con la potente famiglia Borgia, e intenzionati ad accordarsi per il fidanzamento del giovane Federico, figlio del marchese Francesco e di Isabella d’Este, con la figlia infante di Cesare Borgia, Luisa. Il giovane Baldassarre, all’epoca venticinquenne, rimane impressionato, poiché ciò che vede gli risulta incomparabile alle realtà di cui, fino a quel momento ha fatto esperienza, presso le corti di Milano e di Mantova. E dunque, in una lettera alla madre Aloisia, esclama: “gran cosa è Roma!” (B. Castiglione, Le lettere, a c. di G. La Rocca, I, Milano 1978, 17). La città dei papi gli si presenta come il cuore vivo di quella tradizione classica e umanistica a cui è stato educato, ma anche come il baricentro delle relazioni politiche e diplomatiche che di lì si irradiano verso le capitali degli stati italiani e delle grandi monarchie europee.
A questo primo soggiorno, o ai mesi immediatamente seguenti, risale anche il più celebre testo poetico di Castiglione, il sonetto Superbi colli e voi, sacre ruine. Qui, dando di nuovo voce al proprio stupore di fronte allo spettacolo della città di Roma, viene svolto un tema tipico della cultura umanistica: la constatazione dell’opera inesorabile del tempo, che tutto distrugge, induce l’autore al rimpianto per le grandezze ormai perdute della classicità, di cui non si possono che ammirare le misere reliquie.