Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica
Due volte Leopardi tentò di intervenire nel dibattito contemporaneo sul Romanticismo, in difesa del Classicismo; purtroppo i suoi testi non vennero accolti né dalla “Biblioteca Italiana” né dallo “Spettatore italiano”, rimanendo inediti fino al 1906.
Del 1816 è la Lettera ai Sigg. compilatori della Biblioteca Italiana, che risponde al saggio di Madame de Staël Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, nel quale si invitavano gli Italiani ad aprirsi alle moderne letterature europee: “vanissimo consiglio”, per Leopardi, visto che la letteratura italiana è la più vicina alle uniche letterature universalmente valide: la greca e la latina.
Nel 1818 Leopardi approfondì la sua riflessione poetica ed estetica componendo (tra gennaio e agosto) il Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, polemica risposta alle Osservazioni del Cavalier Lodovico di Breme sulla poesia moderna, pubblicate nello “Spettatore italiano” del gennaio. Qui Leopardi esprime idee capitali per la propria esperienza speculativa e poetica: in particolare, la fondamentale opposizione tra i concetti di “natura” e “civilizzazione”, ai quali si legano da una parte quelli di “antichità” e “fanciullezza” (perché “quello che furono gli antichi, siamo stati noi tutti ... dico fanciulli”), dall’altra quelli di “modernità” e “ragione”; in poesia, la polarità si riscontra tra i Classicisti e i Romantici: se i primi ricercano una poesia vicina alla natura e alle illusioni, “semplice”, che si esprima con la “celeste naturalezza” degli antichi (il poeta “deve illudere, e illudendo imitar la natura, e imitando la natura dilettare”), i secondi sono duramente condannati da Leopardi (vicino alle posizioni dei Romantici europei, non di quelli italiani, progressisti e spiritualisti) perché ricercano un’arte “attuale”, “utile”, intellettualistica, psicologica, “sentimentale” e “patetica”.
L’edizione critica è curata da Ottavio Besomi e altri, Casagrande, Bellinzona 1988.

