Le armi e gli esercizi guerreschi
Nel primo libro del Cortegiano, e poi anche nei successivi, Castiglione riserva ampio spazio alla analisi della ‘professione militare’ che definisce, almeno formalmente, l’identità di ogni gentiluomo. Il riconoscimento è perentorio: “estimo che la principale e vera professione del cortigiano debba essere quella delle armi, la quale sopra tutto voglio che egli faccia vivamente e sia conosciuto tra gli altri per ardito e sforzato (=gagliardo), e fedele a chi serve” (B. Castiglione, Il Cortigiano, a cura di A. Quondam, Milano 2002, I, 36). Tale assunto sancisce una paradigmatica, e a quel tempo scontata, identificazione, destinata a sopravvivere, nella società italiana ed europea, fino alla Rivoluzione francese: la professione del nobile è quella delle armi. E così, nel corso dell’opera, vengono indicati gli esercizi guerreschi che, durante i periodi di pace, permettono all’uomo di corte di addestrarsi: la lotta, il cavalcare, la caccia, i giochi atletici.
Ma intorno a questo specifico argomento Castiglione attiva la propria originale riflessione, avente per obiettivo la proposta di una integrazione della ‘cultura delle armi’ mediante la ‘cultura delle lettere’. Simile intuizione è il frutto sia delle discussioni in corso nell’ambiente urbinate, almeno dall’epoca di Federico di Montefeltro, sia delle esperienze biografiche dello stesso Castiglione: il quale, figlio di un uomo d’armi, nell’arco della sua prolungata carriera matura una crescente disaffezione o diffidenza per il mondo della guerra e dei soldati, a favore delle arti della politica e della diplomazia.
Così già nell’epistola a Enrico VII, dedicata alla commemorazione di Guidubaldo di Montefeltro, viene tratteggiato un nuovo modello, culturale e antropologico, che, rifiutando la risoluzione di ogni questione per mezzo della forza e della violenza, mette in primo piano il valore della pacifica convivenza. Lo spunto viene ripreso e ampliato nel Cortegiano, dove si propone di integrare l’operatività militare, tipica già dei cavalieri feudali, per mezzo della cultura umanistica, affinché il gentiluomo sia indotto a limitare il ricorso alle armi e alla guerra alle situazioni di inevitabile necessità.

