L’ombra di Federico
Nel Cortegiano la celebrazione del mito di Urbino, come città-stato ideale nel quadro della situazione politica e culturale italiana, tra XV e XVI secolo, viene connessa all’elogio del duca Federico di Montefeltro, il padre di Guidubaldo, morto il 10 settembre 1482. La sua fama, splendida e incancellabile, riverbera nella magnificenza del palazzo la cui costruzione egli ha sostenuto e promosso. In quella sontuosa dimora, dove sono ambientate le conversazioni rievocate nell’opera, tutto parla di lui, e la sua gloria costituisce, insieme, lo sfondo e la ragione d’essere del testo.
Federico è il principe per antonomasia, di cui, in estrema sintesi, Baldassarre intende evocare le qualità paradigmatiche: la personalità forte e carismatica; la tempra vigorosa, che determina la lunghezza del suo regno e le sue doti di combattente; la vocazione mecenatesca, che l’induce a utilizzare i guadagni della guerra per finanziare i beni dell’arte e della pace. Con il suo ritratto Castiglione vuole consegnare al lettore del Cortegiano l’immagine del fondatore archetipico, dell’uomo vittorioso, artefice del suo successo e degli splendori dello stato, del palazzo, della famiglia. Con Federico si introduce così, sulla soglia dell’opera, il mito del grande condottiero, prudente, saggio e invincibile, magnificente e liberale.
Fin dagli anni Sessanta del Quattrocento, Federico di Montefeltro riscuote ammirazione e attenzione, sollecitando la proliferazione di biografie di mutevole genere e qualità (in latino e in volgare, in prosa e in poesia), che si interrogano intorno al segreto della sua magnetica figura. Di questa tradizione Castiglione, nel Cortegiano, fornisce una originale rielaborazione, al fine di mettere in luce il dettaglio che più gli preme di rilevare: la mirabile attitudine del duca a coltivare insieme le armi e le lettere, la vita attiva e quella contemplativa, temperando le forme più rudi e aspre del feudalesimo con la perpetua esibizione delle qualità umanistiche della grazia e della gentilezza.

