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Percorso tematico > I contemporanei > Melchiorre Cesarotti
Melchiorre Cesarotti
Il dialogo intellettuale e il colloquio affettivo tra Foscolo e Melchiorre Cesarotti (Padova 1730 - 1808) fu costante, fin dagli anni della formazione del giovane poeta. Appena giunto a Venezia, Foscolo entrò in contatto con il gruppo di discepoli che a Padova seguivano le lezioni del professore e che divennero i primi interlocutori delle sue prove poetiche giovanili. Cesarotti, per il suo atteggiamento antierudito e antipedante e per l’operazione di rinnovamento del linguaggio poetico italiano, apparve subito al giovane poeta come un maestro: “All’uom di genio, al Poeta della nazione, al Traduttore finalmente dell’Ossian io mi accingo a rendere un tributo che già il mio cuore gli rese dal primo istante ch’io cominciai a leggere i versi suoi” (Venezia, 28 settembre 1795, in Ep. I, pp. 17-8). Questo tono di colloquio affettivo non viene mai meno anche negli scambi epistolari degli anni successivi, in cui Foscolo si rivolge al maestro chiamandolo “Padre mio”, nonostante non manchino incomprensioni e disaccordi tra i due letterati. Cesarotti rimane perplesso di fronte all’Ortis del quale dà un giudizio assai emblematico: “Del tuo Ortis non ho voglia di parlarne. Esso mi desta compassione, ammirazione, e ribrezzo” (Ep. I, pp. 180-181); Foscolo alterna ammirazione e rispetto per il vecchio letterato e insofferenza per le inevitabili diversità nel considerare l’esercizio critico, il problema della lingua, la traduzione, il rapporto con l’antichità classica. L’Intendimento del traduttore che precede l’Esperimento di traduzione dell’Iliade di Omero, contiene un’apparente lode, dal momento che Foscolo associa Cesarotti a Parini, Alfieri e Monti come responsabili del rinnovamento del linguaggio poetico italiano avvenuto negli ultimi decenni del Settecento, anche se poi qui, e in altre sedi, Foscolo condanna la traduzione di Cesarotti, considerato l’interprete di un modo poco fedele di tradurre Omero, incapace di rendere correttamente il messaggio più intrinseco del testo greco.
 
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